Sir Winston Leonard Spencer Churchill (Woodstock, 30 novembre 1874 – Londra, 24 gennaio 1965) è stato un politico, storico, giornalista, scrittore e militare britannico.
Winston Churchill | |
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Churchill in The Roaring Lion, Yousuf Karsh, 30 dicembre 1941, Canada | |
Primo ministro del Regno Unito | |
Durata mandato | 10 maggio 1940 – 26 luglio 1945 |
Monarca | Giorgio VI |
Predecessore | Neville Chamberlain |
Successore | Clement Attlee |
Durata mandato | 26 ottobre 1951 – 5 aprile 1955 |
Monarca | Giorgio VI Elisabetta II |
Predecessore | Clement Attlee |
Successore | Anthony Eden |
Cancelliere dello Scacchiere | |
Durata mandato | 6 novembre 1924 – 4 giugno 1929 |
Capo del governo | Stanley Baldwin |
Predecessore | Philip Snowden |
Successore | Philip Snowden |
Primo lord dell'ammiragliato | |
Durata mandato | 24 ottobre 1911 – 25 maggio 1915 |
Capo del governo | Herbert Henry Asquith |
Predecessore | Reginald McKenna |
Successore | Arthur Balfour |
Durata mandato | 3 settembre 1939 – 10 maggio 1940 |
Capo del governo | Neville Chamberlain |
Predecessore | James Stanhope |
Successore | Albert Victor Alexander |
Segretario di Stato per gli affari interni | |
Durata mandato | 19 febbraio 1910 – 24 ottobre 1911 |
Capo del governo | Herbert Henry Asquith |
Predecessore | Herbert Gladstone |
Successore | Reginald McKenna |
Cancelliere del Ducato di Lancaster | |
Durata mandato | 25 maggio 1915 – 25 novembre 1915 |
Capo del governo | Herbert Henry Asquith |
Predecessore | Edwin Samuel Montagu |
Successore | Herbert Samuel |
Durata mandato | 17 luglio 1917 – 10 gennaio 1919 |
Capo del governo | David Lloyd George |
Predecessore | Christopher Addison |
Successore | |
Segretario di Stato per l'aeronautica | |
Durata mandato | 10 gennaio 1919 – 1º aprile 1921 |
Capo del governo | David Lloyd George |
Predecessore | carica istituita |
Successore | Samuel Hoare |
Segretario di Stato per la guerra | |
Durata mandato | 10 gennaio 1919 – 13 febbraio 1921 |
Predecessore | Alfred Milner |
Successore | |
Segretario di Stato per le colonie | |
Durata mandato | 13 febbraio 1921 – 19 ottobre 1922 |
Capo del governo | David Lloyd George |
Predecessore | Alfred Milner |
Successore | Victor Cavendish, 9º duca del Devonshire |
Leader del Partito Conservatore | |
Durata mandato | 9 novembre 1940 – 6 aprile 1955 |
Predecessore | Neville Chamberlain |
Successore | Anthony Eden |
Dati generali | |
Prefisso onorifico | The Right Honourable e Sir |
Suffisso onorifico | KG OM CH TD FRS PC (Can) |
Partito politico | Partito Conservatore (1900-1904; 1924-1964) Partito Liberale (1904-1924) |
Università | Harrow School, Reale accademia militare di Sandhurst |
Sir Winston Leonard Spencer Churchill | |
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Ritratto di Churchill con l'uniforme del British Army | |
Nascita | Woodstock, 30 novembre 1874 |
Morte | Londra, 24 gennaio 1965 |
Cause della morte | ictus |
Luogo di sepoltura | Cimitero di St Martin's Church, Bladon (Woodstock) |
Dati militari | |
Paese servito | Regno Unito |
Forza armata | British Army |
Arma | Territorial Army |
Corpo | Cavalleria |
Specialità | Corrispondente di guerra |
Anni di servizio | 1893-1924; 1940-1945 |
Grado | Colonnello |
Guerre | Guerra mahdista Seconda guerra boera Prima guerra mondiale Seconda guerra mondiale |
Battaglie | Battaglia di Omdurman |
Decorazioni | |
Altre cariche | politico |
"fonti nel corpo del testo" | |
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È stato Primo ministro del Regno Unito dal 1940 al 1945 e nuovamente dal 1951 al 1955. È stato inoltre membro del Parlamento dal 1900 al 1922 e dal 1924 al 1964, rappresentando nel corso della sua carriera cinque diversi collegi. Come Primo ministro, è noto per aver guidato il Regno Unito alla vittoria nella seconda guerra mondiale; fu anche leader del Partito Conservatore per quindici anni, dal 1940 al 1955.
In seguito alla sconfitta dei conservatori nelle elezioni del 1945, Churchill divenne leader dell'opposizione, mantenendo un grande prestigio internazionale; si dimise dalla carica nel 1955, rimanendo comunque parlamentare fino al 1964. Alla sua morte, la regina Elisabetta gli concesse gli onori dei funerali di Stato, ai quali parteciparono un gran numero di statisti.
Per l'attività di storico e scrittore portata avanti durante tutta la vita ricevette anche il premio Nobel per la letteratura nel 1953. Protagonista di primo piano delle vicende politiche britanniche e internazionali per oltre cinquant'anni, Churchill è tra le figure politiche più significative del XX secolo. La storiografia ritiene Churchill il più grande premier britannico di quest'epoca, per la guida del Paese nel corso del secondo conflitto mondiale, la sua abilità parlamentare e la sua dedizione agli interessi della nazione. Fu l'ultimo fautore del Regno Unito quale potenza globale: le politiche da lui intraprese nei confronti degli Stati Uniti d'America, dell'Unione Sovietica e del continente europeo hanno portato benefici di lungo termine al Regno Unito. La sua memoria rimane oggetto di elogi e critiche e il dibattito intorno alla sua complessa eredità resta acceso.
Genealogia e origini familiari
Churchill nacque nella dimora avita della famiglia paterna, Blenheim Palace nell'Oxfordshire, il 30 novembre 1874. Diretto discendente dei duchi di Marlborough, il suo casato apparteneva ai massimi ranghi dell'aristocrazia britannica. Il suo celebre antenato John Churchill, I duca di Marlborough era stato il vincitore, insieme con Eugenio di Savoia della guerra di successione spagnola; il nonno paterno, John Spencer-Churchill, VII duca di Marlborough, era stato per dieci anni parlamentare per il Partito conservatore e ministro nei governi tory di Lord Derby e Benjamin Disraeli. Suo padre, lord Randolph Churchill, era stato eletto membro del Parlamento per Woodstock nel 1873. La nonna paterna, lady Frances Anne Vane-Tempest-Stewart era figlia di Charles Stewart, III marchese di Londonderry, aiutante di campo di Arthur Wellesley nel corso delle guerre napoleoniche, in seguito ambasciatore britannico in Austria, Prussia e Russia. Questi era inoltre il fratello dello statista irlandese lord Castlereagh, l'artefice dell'Europa post-napoleonica al congresso di Vienna. Dalla stessa linea Churchill poteva vantare anche avi italiani delle famiglie fiorentine dei Guicciardini e degli Strozzi, in particolare dal fratello di Francesco Guicciardini Jacopo, che era stato ambasciatore di Firenze in Inghilterra nel XVI secolo: questi contava tra i suoi antenati Ubertino Strozzi e il poeta Guido Cavalcanti.
La madre, Jennie Jerome, era statunitense, figlia di Leonard Jerome, un facoltoso uomo d'affari e diplomatico di New York nonché proprietario del New York Times e discendente di un aiutante di campo di George Washington. Fu console a Ravenna e Trieste e, nel 1870, negoziò con le truppe prussiane la liberazione dei cittadini statunitensi residenti nella Parigi assediata (tra quali figurava anche la sua famiglia). Peraltro, i legami familiari di Churchill con gli Stati Uniti risalivano molto più indietro: gli Spencer erano infatti strettamente imparentati con la famiglia di George Washington, l'artefice dell'indipendenza e il primo presidente della nazione nordamericana.
Attraverso la famiglia di sua madre Churchill intratteneva lontani legami di parentela con i presidenti Franklin Delano Roosevelt, John Adams e suo figlio John Quincy Adams, Ulysses Grant, oltre a George Herbert Walker Bush e George W. Bush e financo con lo scrittore Ernest Hemingway. È spesso stato ipotizzato che la madre di Churchill avesse antenati nativi americani attraverso sua madre, Clarissa Hall, ma ciò non è mai stato provato.
Biografia
La gioventù e la formazione (1874-1895)
La nascita e i primi anni
I genitori di Winston si incontrarono per la prima volta nell'agosto 1873 durante un ballo dato a Cowes, sull'isola di Wight, dalla regina Vittoria in onore dello zarevic Alessandro e di sua moglie; essi furono presentati da un comune amico, il diplomatico Francis Bertie. Jennie e Randolph si fidanzarono dopo appena tre giorni, ma il matrimonio fu ritardato a causa delle diatribe legali dei suoceri sulla dote. Durante il fidanzamento, Jennie rimase a Parigi con la madre, mentre Randolph visse in Inghilterra per condurre la campagna elettorale, recandosi spesso in visita alla fidanzata e scambiando con lei una fitta corrispondenza; i duchi di Marlborough furono inizialmente molto ostili alle nozze, giudicando Jerome "un volgare affarista". Randolph si rivolse in cerca di aiuto anche a uno dei suoi migliori amici, il principe di Galles Alberto Edoardo, che svolse un'intensa opera di persuasione presso la coppia ducale, coinvolgendo anche la madre, la regina Vittoria, a sua volta amica sin dall'infanzia della duchessa di Marlborough Frances. La coppia si sposò infine nell'aprile 1874 nell'ambasciata del Regno Unito a Parigi.
Il primogenito Winston Leonard nacque circa otto mesi dopo il matrimonio. Secondo il biografo William Manchester egli era stato concepito dai genitori prima del matrimonio. Secondo la tesi tradizionale, invece, il figlio nacque prematuro a causa di una caduta della madre durante una battuta di caccia nei giorni precedenti il parto. Anche il figlio secondogenito Jack nascerà prematuro, a causa di una probabile malformazione delle ossa pelviche della madre, che causò in entrambe le gravidanze una rottura precoce della placenta.
Nel 1877 il duca di Marlborough venne nominato viceré d'Irlanda e Lord Randolph divenne il suo segretario privato; pertanto, l'intera famiglia Churchill si trasferì a Dublino. Qui nel 1880 nacque il secondo figlio della coppia, John Strange Spencer-Churchill detto "Jack".
Durante gli anni 1880 comunque i genitori di Churchill si estraniarono sempre più e la madre cominciò a frequentare vari amanti. Nello stesso periodo il padre, Lord Randolph, divenne uno degli uomini politici britannici più noti, in patria e all'estero, tanto da trattare alla pari con Otto von Bismarck e lo zar Alessandro III. Il piccolo Winston non ebbe in pratica alcuna relazione con il padre, sviluppando per Randolph una sconfinata ammirazione e cercando sempre nel corso della vita di emularlo e di dimostrarsi degno di lui. Riguardo alla madre più tardi ricordò: «La amavo, ma a distanza». Con il fratello, che visse sempre nella sua ombra, i rapporti rimasero invece molto stretti e affettuosi per tutta la vita, fino alla morte di Jack nel 1947. A Dublino Churchill ricevette i primi insegnamenti di lettura e aritmetica da una governante, mentre lui e il fratello vennero accuditi dalla tata Elizabeth Everest, alla quale Winston rimase devotissimo per tutta la vita. Nella sua autobiografia My Early Life (La mia giovinezza) scrisse a proposito della Everest: «Per tutta la mia infanzia e adolescenza è stata la mia più cara amica e confidente".
L'istruzione e l'adolescenza
All'età di sette anni, Churchill venne mandato alla St. George's School di Ascot, ma la scuola non gli piaceva, aveva voti mediocri ed era indisciplinato: il preside, il sadico reverendo Sneyd-Kynnersley, lo frustava spesso, tanto che, quando la madre scoprì la schiena e i glutei del bambino coperti di cicatrici, decise di ritirarlo dalla scuola. Secondo Michael Dobbs Churchill subì anche abusi sessuali da parte del preside. I genitori si erano nel frattempo trasferiti a Connaught Place a Londra, dove Churchill li visitava regolarmente, mentre nello stesso periodo visitò con la famiglia la località termale di Bad Gastein in Austria-Ungheria. A causa della salute precaria, nel settembre 1884 fu trasferito alla Brunswick School di Hove, nel Sussex, dove i suoi risultati migliorarono, ma la condotta rimase indisciplinata. A malapena passò gli esami di ammissione per la prestigiosa Harrow School, a cui si iscrisse nell'aprile 1888. Qui il rendimento rimase alto, eccelse soprattutto in storia, ma gli insegnanti lamentavano la sua mancanza di puntualità e precisione. Scrisse anche poesie e lettere che furono pubblicate nel giornale della scuola, l'Harrovian, e vinse anche una competizione di scherma. Il padre, non giudicando il figlio in grado di frequentare l'università, aveva deciso che il giovane Churchill dovesse intraprendere la carriera militare, quindi trascorse gli ultimi tre anni a Harrow nei corsi preparatori per l'accademia; superò gli esami finali con voti bassi. Dopo due tentativi respinti, fu infine ammesso alla Reale accademia militare di Sandhurst, dove fu accettato come cadetto in cavalleria, cominciando i corsi nel settembre 1893. I corsi all'accademia terminarono dopo quindici mesi e Churchill si diplomò nel dicembre 1894, con ottimi risultati, particolarmente nell'equitazione. Poco dopo tuttavia il padre, lord Randolph Churchill, morì per cause mai del tutto chiarite: all'epoca si parlò di sifilide, ma oggi la causa ritenuta più probabile è un cancro al cervello non diagnosticato. Winston rimase molto scosso per la morte del genitore, ricavandone la convinzione che anche lui avrebbe avuto il destino di morire giovane.
Cuba, India e Sudan (1895-1899)
Nel febbraio 1895 Churchill fu assegnato al IV reggimento Ussari dell'Esercito britannico, di stanza ad Aldershot. Lo stipendio ammontava a 150 sterline all'anno, ben al di sotto del suo tenore di vita. Nel luglio dello stesso anno, Churchill fece ritorno a Londra per organizzare i funerali della sua vecchia tata Everest, che pagò personalmente. Ansioso di partecipare ad azioni militari, sfruttò l'influenza della madre per farsi assegnare in zone di guerra. Nell'autunno del 1895 partì per Cuba insieme a Reginald Barnes, per assistere alla guerra d'indipendenza che l'isola stava combattendo contro la Spagna. Qui si unì alle truppe spagnole come corrispondente di guerra e fu testimone di vari scontri con i ribelli indipendentisti. Nella stessa occasione Churchill venne anche reclutato dall'intelligence britannica tramite il colonnello Edward Chapman, al fine di raccogliere informazioni su un nuovo tipo di pallottola in uso all'esercito spagnolo. Terminata questa esperienza trascorse un periodo di soggiorno negli Stati Uniti, dove fece la conoscenza del deputato democratico , amico di sua madre e famoso oratore del tempo, il quale ebbe notevole influenza sul giovane Winston.
Al seguito degli Ussari Churchill giunse a Bombay nell'India britannica, nell'ottobre 1896. Presto trasferito a Bangalore, prese alloggio in un bungalow con l'amico Barnes. Churchill rimase di stanza in India per diciannove mesi, facendo frequenti visite a Calcutta, spedizioni nello Hyderabad e due visite in licenza nel Regno Unito. Ritenendo di aver ricevuto una scarsa educazione, cominciò in questo periodo a studiare da autodidatta, leggendo opere di Platone, Adam Smith, Charles Darwin, Arthur Schopenhauer e Henry Hallam. Ebbero particolare influenza su di lui il Declino e caduta dell'Impero romano di Edward Gibbon, il Martirio dell'uomo di William Winwood Reade, un'opera storica di impronta materialista e darwinista che influenzò l'agnosticismo di Churchill, oltre alle opere del famoso storico whig Thomas Babington Macaulay. Interessato sin d'allora di politica, nelle lettere private si definiva "un liberale in tutto tranne che nel nome", aggiungendo però che non poteva sostenere il Partito Liberale a causa del suo sostegno all'Home rule per l'Irlanda. Piuttosto, si definiva un aderente dell'ideologia della cosiddetta Tory democracy, della quale già il padre era stato tra i principali esponenti. In questa veste, durante una delle visite in patria, tenne il suo primo discorso pubblico a Bath a un raduno della Primrose League ("lega della primula"), un'organizzazione militante fondata dal padre anni prima a sostegno dell'ala "uninazionale" dei tory. Churchill espresse in questo periodo una miscela di istanze conservatrici e riformiste allo stesso tempo: si dichiarò ad esempio in favore di un sistema di istruzione pubblico e laico, ma allo stesso tempo si oppose al suffragio femminile, definendo le suffragette "un movimento ridicolo". Il biografo Keith Robbins ha sostenuto che fu in questo periodo che Churchill formò gran parte del proprio pensiero politico.
In India, Churchill decise di unirsi al corpo di spedizione del Malakand, comandato da Bindon Blood nella campagna contro i ribelli Pashtun della tribù Mohmand nella Valle di Swat, in India nord-occidentale. Per poter partecipare alla campagna dovette accreditarsi come corrispondente di guerra per "The Pioneer" e per il "Daily Telegraph". Nelle lettere ai familiari descrisse come fosse pratica di entrambi gli schieramenti massacrare i feriti dopo gli scontri, ma non ne fece cenno nelle sue corrispondenze giornalistiche. Rimase al seguito dell'esercito per sei settimane prima di fare ritorno a Bangalore nell'ottobre 1897. Qui scrisse il suo primo libro, The story of the Malakand Field Force, relativo alla campagna appena trascorsa, che fu poi pubblicato da Longman e ricevette un'ottima accoglienza. Nello stesso periodo scrisse anche un romanzo a chiave dal titolo Savrola, ambientato in un immaginario regno balcanico, che fu pubblicato a puntate sul Macmillan's Magazine tra maggio e dicembre 1899, prima di apparire in forma di libro.
Nel 1898, mentre soggiornava ancora a Bangalore, Churchill esplorò la possibilità di unirsi alle forze di Lord Kitchener che stavano per cominciare la campagna sudanese contro gli insorti del Mahdi. Kitchener fu inizialmente reticente, sostenendo che Churchill fosse solo in cerca di fama e di medaglie. Dopo aver passato del tempo a Calcutta, Meerut e Peshawar, nel giugno del 1898 Churchill fece ritorno in patria. Qui fece uso dei suoi contatti, tra cui il primo ministro Lord Salisbury, vecchio collega del padre, per farsi assegnare al corpo di spedizione sudanese. In cambio accettò di scrivere degli articoli di corrispondenza per il Morning Post. Partì quindi per l'Egitto, dove si unì al XXI Lanceri al Cairo prima di risalire il Nilo verso sud alla volta del Sudan. Qui prese parte alla battaglia di Omdurman, nella quale le forze del Mahdi (messia islamico) Abd Allah al-Ta'aysh subirono una decisiva sconfitta. Nei suoi articoli, Churchill espresse giudizi molto critici sul comportamento di Kitchener verso i feriti, soprattutto sulla profanazione della tomba del Mahdi da lui ordinata, suscitando nel generale un'ostilità che si sarebbe trascinata negli anni. In seguito alla battaglia, Churchill donò una parte di pelle del suo petto perché fosse trapiantata a un commilitone ferito. Tornato in Gran Bretagna in ottobre, pubblicò un'altra opera, intitolata The River War ("La guerra sul fiume"), dedicata alla campagna del Sudan.
Prime esperienze politiche e guerra boera (1899-1900)
Avendo preso la decisione di intraprendere una carriera parlamentare, Churchill approfondì i suoi contatti politici e tenne comizi a tre riunioni del Partito conservatore. In questo periodo conobbe anche il suo primo amore, Pamela Plowden; anche se la relazione non durò a lungo, i due rimasero amici per il resto della vita. In dicembre fece ritorno in India per tre mesi, dove coltivò assiduamente la sua passione per il polo. Durante la permanenza a Calcutta fu ospite del viceré George Nathaniel Curzon. Durante il viaggio di ritorno in Gran Bretagna soggiornò all'Hotel Savoy del Cairo, dove fece la conoscenza del chedivè Abbas II, prima di tornare in patria in aprile. Qui si concentrò nuovamente sulla politica, partecipando a incontri di partito e a eventi mondani; rafforzò in particolare i rapporti con i molti influenti amici dei genitori, che aveva conosciuto sin da bambino, come Archibald Primrose, V conte di Rosebery, il più intimo amico del padre, il primo ministro Lord Salisbury e Nathan Rothschild, vecchio compagno di scuola di Lord Randolph. Fu scelto come candidato per le elezioni suppletive del giugno 1899 a Oldham nel Lancashire. Sebbene il seggio fosse stato in precedenza tenuto dai conservatori, Churchill perse di misura contro il candidato liberale.
Avendo avuto presentimento dello scoppio della seconda guerra boera, Churchill salpò da Southampton per il Sudafrica come corrispondente per il Daily Mail e il Morning Post. Sbarcato a Città del Capo raggiunse il fronte a Ladysmith, allora assediata dalle truppe boere. Tra i corrispondenti di guerra britannici era presente anche la zia di Churchill, lady Sarah Wilson, una delle prime donne della storia ad aver svolto questa professione. Durante un viaggio in treno verso Colenso, nella provincia del KwaZulu-Natal, il convoglio venne attaccato dai boeri e Churchill fu catturato e internato in un campo di prigionia a Pretoria. Autrice della cattura fu la Legione Volontaria Italiana, guidata da Camillo Ricchiardi. Tuttavia in dicembre, Churchill e altri due prigionieri riuscirono a evadere attraverso i bagni del campo. Si nascose dapprima in un treno abbandonato e poi in una miniera appartenente a un simpatizzante dei britannici. Ricercato dai boeri, Churchill riuscì infine a nascondersi su un convoglio che lo portò al sicuro nell'Africa Orientale Portoghese (odierno Mozambico).
Da qui si imbarcò per Durban, dove scoprì che la sua evasione lo aveva reso famoso. Invece di tornare in patria, Churchill preferì essere assegnato come tenente nel reggimento dei South African Light Horse e in questa veste si unì alle truppe del generale Redvers Buller che sconfissero i boeri a Ladysmith e presero Pretoria, segnando la vittoria britannica nel conflitto. Nei suoi scritti durante la campagna, Churchill criticò aspramente l'ostilità britannica verso i boeri, invocando invece un trattamento generoso degli sconfitti e una pace rapida. Churchill e suo cugino, il duca di Marlborough, entrarono a Pretoria alla testa delle truppe britanniche e ottennero la resa di 52 guardie boere dei campi di prigionia. Dopo la vittoria, Churchill tornò a Città del Capo e da lì, in luglio, salpò per il Regno Unito. Nel maggio, quando ancora era in Sudafrica, i suoi dispacci al Morning Post furono pubblicati con il titolo "London to Ladysmith via Pretoria", che ottenne un buon successo di vendite.
Primi anni di carriera politica (1900-1919)
Ingresso in Parlamento e scalata ai vertici (1900-1911)
Forte della popolarità conseguita nel conflitto sudafricano, Churchill venne eletto per il seggio di Oldham alle elezioni generali del 1900, le ultime dell'età vittoriana, nota anche come "Khaki election" (elezione khaki), per il decisivo vantaggio dato ai Tories dalla vittoria nella guerra boera. Tuttavia, non prese parte alla cerimonia di apertura del Parlamento del dicembre 1900, ma si dedicò a un tour di conferenze in Gran Bretagna e negli Stati Uniti d'America. Grazie al successo del tour di conferenze negli USA e alla prolifica attività di collaborazione con giornali e riviste riuscì a guadagnare la somma di 10 000 sterline, equivalenti a circa 500 000 sterline nel 2001. All'epoca i parlamentari non percepivano alcun compenso e Churchill non aveva ereditato quasi nulla alla morte del padre, poiché questi aveva perso gran parte del suo patrimonio. Prese infine possesso del suo seggio nel febbraio 1901.
In Parlamento, Churchill si unì a un gruppo di giovani deputati conservatori il cui leader era Lord Hugh Cecil, figlio del primo ministro Lord Salisbury. Da lui il gruppo prese il nome di "Hughligans". Il primo intervento parlamentare di Churchill fu un duro attacco al segretario di Stato per la guerra , che aveva proposto di aumentare gli effettivi dell'esercito a sei corpi d'armata, tre dei quali da stanziare all'estero. Churchill aveva preparato con cura il suo intervento per sei settimane e parlò per un'ora senza appunti. L'intervento mostrò abilità retoriche notevoli e fu subito paragonato alle famose allocuzioni del padre.
A partire dal 1903 Churchill cominciò ad allontanarsi dai conservatori. In particolare, si oppose al leader dei liberali unionisti Joseph Chamberlain, vecchio amico e alleato politico del padre, il cui partito era in coalizione con i Tories. Chamberlain propose un vasto piano di tariffe protezioniste per preservare il primato dell'industria britannica davanti all'emergente concorrenza tedesca e statunitense. Churchill allora e in seguito fu invece un sostenitore del libero commercio. In un famoso intervento parlamentare disse: «Pensare di rendere un uomo più ricco con una tassa è come pensare che, trovandosi dentro un secchio, possa sollevarlo tirando il manico». Nel 1904, elogiò in un discorso l'alfiere del libero commercio di metà Ottocento Richard Cobden, in occasione del centenario della sua nascita. Quando gli attacchi alle politiche protezioniste dei conservatori e di Chamberlain si moltiplicarono, fu sfiduciato dal suo stesso collegio. Oldham era un importante centro dell'industria tessile e gli elettori locali erano favorevoli alle politiche protezioniste sostenute da Chamberlain e dagli unionisti, che prevedevano dazi sui prodotti tessili stranieri. Churchill continuò comunque a sedere in Parlamento per Oldham fino alle successive elezioni.
Passato ufficialmente ai liberali dopo la Pasqua del 1904, quando il partito giunse al governo nel dicembre 1905, con il primo ministro Henry Campbell-Bannerman Churchill ottenne il suo primo incarico ministeriale come sottosegretario alle Colonie. In questa veste, Churchill si occupò da subito di questioni di grande rilievo, come l'adozione di una nuova costituzione per le repubbliche boere del Transvaal e dell'Orange e con lo scandalo del lavoro forzato degli immigrati cinesi nelle miniere sudafricane.
Nella veste di sottosegretario partecipò nel 1906 alle manovre militari dell'Esercito imperiale tedesco a Würzburg, incontrando personalmente il Kaiser Guglielmo II con il quale conversò per circa venti minuti.
Dopo le elezioni generali del 1906, vinte a schiacciante maggioranza dai liberali, Churchill venne nominato ministro del Commercio (President of the Board of Trade). In tale veste Churchill si schierò da subito a fianco del nuovo cancelliere dello Scacchiere David Lloyd George nell'opposizione all'aumento delle spese per la flotta. Il primo lord dell'ammiragliato Reginald McKenna aveva proposto l'acquisto di sei nuove navi da battaglia dreadnought, ma Churchill e Lloyd George proposero di limitare il numero a quattro.
Presentato al teorico riformista William Beveridge da Beatrice Webb, Churchill chiamò Beveridge a collaborare con lui nel Board of Trade. Ispirato da quest'ultimo, Churchill promosse molte riforme sociali, come l'istituzione del salario minimo (tramite il Trade Boards Act del 1909) e il limite della giornata lavorativa a otto ore per i minatori (Mines Act del 1908). Con il Labour Exchanges Act (1909) istituì uffici di collocamento per la ricerca di impiego.
Churchill svolse anche un ruolo chiave nel sostenere Lloyd George e le due grandi riforme del governo Asquith, il cosiddetto People's Budget e il Parliament Act del 1911. Il People's Budget proposto da Lloyd George consisteva in una grande riforma fiscale volta a tassare la rendita fondiaria per finanziare un vasto programma assistenziale per i ceti più disagiati e le spese militari rese necessarie dal rafforzamento della Germania. Il Budget era ispirato alle teorie dell'economista Henry George e mirava a colpire soprattutto la rendita fondiaria. Churchill si impegnò attivamente nella campagna presiedendo la "Budget League" e nelle due elezioni generali che si susseguirono nel gennaio e nel dicembre 1910 vinte dai liberali. I discorsi di Churchill fecero uso di una forte retorica georgista; la proprietà della terra era la fonte di tutti i monopoli e la speculazione fondiaria portava a un reddito parassitario e dannoso per la società, a differenza degli investimenti produttivi nei capitali industriali. Il Budget, approvato dai Comuni già nel 1909, incontrò dapprima il veto della Camera dei lord, il che portò a una grave crisi costituzionale che fu risolta con il Parliament Act del 1911, il quale abolì il diritto di veto dei Lord in materia fiscale.
Astro in ascesa della politica britannica, Churchill divenne nel 1910 ministro dell'Interno. Quando, nello stesso anno, ebbero luogo gli scioperi di minatori nel Galles, Churchill impedì all'esercito di intervenire, venendo per questo criticato dai giornali conservatori come il Times. Nel 1911, prese l'inusuale decisione di presenziare personalmente all'assedio di Sidney Street, un'operazione di polizia contro una banda di rapinatori. Anche in quest'occasione la sua decisione sollevò numerose critiche. Sebbene non assumesse il diretto comando delle operazioni, il biografo Roy Jenkins ha affermato che Churchill si recò sul luogo perché "non poteva resistere alla tentazione di trovarsi al centro della mischia". La sua presenza tuttavia attirò molte critiche. A un certo punto l'edificio assediato prese fuoco e Churchill sostenne la decisione di negare ai pompieri l'accesso, per costringere la banda ad arrendersi o a morire. Dopo un'inchiesta, il leader dell'opposizione Arthur James Balfour affermò: «Lui (Churchill) e il fotografo stavano entrambi rischiando vite preziose. Capisco il fotografo, ma cosa ci faceva lì l'Onorevole ministro?». Da ministro dell'Interno, Churchill si dedicò anche a un'ampia riforma del sistema penale che aveva come obiettivo l'incremento delle pene alternative al carcere, portando negli anni seguenti a una netta riduzione del numero dei detenuti.
Favorevole all'eugenetica, Churchill partecipò anche alla stesura del Mental Deficiency Act del 1913. Tuttavia, la legge approvata dispose l'internamento coatto di handicappati e malati mentali invece della loro sterilizzazione, come aveva proposto Churchill. A questo proposito aveva scritto a H.G. Wells, anche lui convinto eugenista: «Ammiro l'abilità e il coraggio con cui avete discusso le questioni del matrimonio e della popolazione».
Negli stessi anni l'opera di Churchill pose anche le fondamenta per lo sviluppo dell'intelligence britannica: "svolse un ruolo importante nella creazione dei servizi segreti britannici, che si sarebbero poi trasformati negli odierni MI5 e MI6. Le operazioni si svolsero senza informare il Parlamento. Nell'agosto 1911, da ministro dell'Interno, contribuì affinché la legge di regolamentazione dei segreti di Stato passasse in Parlamento in modo rapido e quasi senza discussioni. Rimase in vigore per i successivi settantotto anni".
In questa fase, Churchill fu anche uno dei primi fautori della Devolution in favore delle nazioni britanniche non inglesi, nonché di un riassetto federale generale dell'Impero: "Churchill tenne il 12 settembre (1912 ndr) un celebrato discorso nella sua circoscrizione elettorale di Dundee a sostegno della federazione delle isole britanniche, che avrebbe favorito il conseguimento di una federazione imperiale".
Quando era ancora ministro del Commercio Churchill subì un'aggressione dalla suffragetta Theresa Garnett alla stazione di Bristol Temple Meads. La sua proposta per risolvere la questione fu quella di indire un referendum, ma l'idea non incontrò il favore di Asquith e del governo e la soluzione fu rimandata fino a dopo la prima guerra mondiale.
Servizio nell'esercito territoriale
Nel 1900 Churchill prese congedo dall'esercito regolare e nel 1902 si arruolò nell', dove ottenne il grado di capitano del il 4 gennaio 1902. Nell'aprile 1905 fu promosso maggiore e comandante dell'Henley Squadron dei Queen's Own Oxfordshire Hussars. Nel settembre 1916 fu trasferito alla Territorial Army come ufficiale, incarico che mantenne fino al suo ritiro definitivo dall'esercito nel 1924, con il grado di maggiore.
Primo lord dell'ammiragliato (1911-1915)
Passato all'ammiragliato nel 1911, l'anno della crisi di Agadir, Churchill si dedicò da subito a un ampio programma di ammodernamento della Royal Navy, per mantenere la superiorità rispetto alla Germania. Fu un pioniere nello sviluppo dell'aviazione di marina (prese lui stesso lezioni di volo), ordinò la sostituzione delle bocche da fuoco navali con delle nuove da 381 mm. Predispose il varo di nuove classi di navi, come la Queen Elizabeth e la Arethusa. In queste riforme Churchill fu ispirato dall'ammiraglio John Fisher, che per molti anni era stato il motore dell'innovazione della Royal Navy. Sempre incoraggiato da Fisher, promosse anche la modifica dei motori delle navi militari da combustibile a carbone in quelli a petrolio, il che rese necessario garantire un rifornimento continuo di questa materia prima. A questo scopo, Churchill negoziò e fece approvare alla Camera dei Comuni un contratto di acquisto da parte dello Stato della quota del 51 per cento della Anglo-Persian Oil Company, con diritto di utilizzazione di tutto il petrolio estratto dalla compagnia. Si adoperò anche per raggiungere un accordo su una moratoria degli armamenti navali con la Germania, utilizzando come intermediario il finanziere anglo-tedesco Ernest Cassel, già grande amico di suo padre e del re Edoardo VII, nonché il magnate amburghese della cantieristica Albert Ballin, senza tuttavia ottenere risultati significativi.
Prima guerra mondiale
«Dio protegga noi e la nostra antica eredità. Sai quanto sarei pronto e fiero di rischiare, o offrire se necessario, la mia intera esistenza per mantenere grande e famoso, prospero e libero questo Paese.»
Con lo scoppio della prima guerra mondiale, Churchill rimase a capo della Marina britannica. L'evento più noto e controverso di questo periodo fu la fallita campagna di Gallipoli, della quale Churchill fu promotore insieme all'ammiraglio John Fisher e al generale Kitchener. L'operazione aveva l'obiettivo di eliminare le difese turche nello stretto dei Dardanelli per consentire alle truppe da sbarco britanniche, australiane e francesi di raggiungere Costantinopoli e unirsi così all'esercito russo. La flotta predisposta per l'azione non riuscì tuttavia ad annientare le difese dei turchi e Churchill, essendo il ministro responsabile, venne considerato il colpevole dell'insuccesso. Per questo, nel 1915, anche su forte pressione dei conservatori, dovette dare le dimissioni.
Churchill a questo punto riprese servizio nell'esercito, pur rimanendo parlamentare, come tenente colonnello del VI battaglione dei . Durante il suo periodo al comando Churchill e il suo battaglione furono di stanza a Ploegsteert, ma non presero parte ad azioni sul campo. Churchill mostrò interesse per le condizioni dei suoi uomini, emanando severe disposizioni igieniche e deplorando gli assalti frontali che portavano a carneficine inutili. Schieratosi all'opposizione del nuovo governo, il 7 marzo 1916 tenne un discorso in cui attaccava il nuovo primo lord dell'ammiragliato Arthur Balfour e chiedeva il ritorno di Fisher. Il 3 maggio il suo battaglione venne accorpato alla XV divisione e Churchill, deciso a rientrare in politica a tempo pieno, chiese di essere congedato.
Ministro degli Approvvigionamenti (1917-1919)
Churchill divenne ministro degli Approvvigionamenti nel nuovo governo di Lloyd George. Da poco entrato in carica, presentò alla Camera un disegno di legge che tutelava particolarmente le libertà sindacali dei lavoratori dell'industria bellica, dichiarando che senza il loro appoggio la guerra non poteva essere vinta. Churchill fu un abile organizzatore e riuscì ad aumentare notevolmente la produzione di armamenti nella fase finale del conflitto, dando un grande vantaggio materiale agli Alleati di fronte a un'esausta Germania. Quando nel marzo del 1917 cominciò l'ultima disperata offensiva tedesca Churchill rappresentò il coordinamento tra il governo britannico e i comandi francesi. Dopo la vittoria alleata, Churchill consigliò di essere moderati nella pace con la Germania sconfitta, soprattutto per evitare lo scoppio di una rivoluzione comunista nel Paese.
Da un conflitto all'altro (1919-1939)
Ministro della guerra
«La vittoria era arrivata, dopo tutti i rischi e le paure, in modo assoluto e totale; tutti i re e imperatori contro cui avevamo lottato erano in fuga o in esilio, i loro eserciti e le loro flotte distrutti o vinti. In tutto ciò la Gran Bretagna aveva svolto un ruolo rilevante e fatto del suo meglio, dal principio alla fine.»
Nel 1919 dopo le elezioni generali del 1918 che assegnarono una vittoria schiacciante alla coalizione di Lloyd George, Churchill divenne ministro della Guerra e , unendo i due dipartimenti in precedenza autonomi. Il suo primo incarico fu quello di organizzare la smobilitazione dei combattenti. Churchill dispose che la priorità venisse data ai veterani che avevano servito più a lungo. Fu anche il principale artefice della cosiddetta "regola dei dieci anni" (Ten Years Rule), la quale prevedeva che il Tesoro avrebbe assunto il controllo delle spese della Difesa per i successivi dieci anni, sulla base del fatto che in tale periodo non ci sarebbero stati nuovi conflitti europei su larga scala.
Uno degli episodi che maggiormente segnarono il suo mandato al War Office fu l'intervento alleato nella rivoluzione russa. Churchill era un accanito sostenitore dell'intervento, avendo dichiarato che il bolscevismo andava «strangolato nella culla». Si assicurò, contro un gabinetto diviso e incerto, la prosecuzione e l'intensificazione dell'intervento del Regno Unito, contro il parere della maggioranza dei gruppi parlamentari e l'ostilità aperta del Partito Laburista. Allo scopo di meglio coordinare il sostegno ai bianchi, Churchill inviò come proprio rappresentante in Russia il teorico geopolitico Halford Mackinder, all'epoca deputato conservatore a Westminster. Anche dopo che Lloyd George impose il ritiro del Regno Unito dall'Europa orientale, Churchill fece inviare armi e munizioni ai polacchi impegnati in guerra contro i bolscevichi (guerra conclusasi vittoriosamente con la battaglia di Varsavia). La sua decisa attività antibolscevica portò a una rottura con Lloyd George che non si sarebbe mai rimarginata, a critiche dalla stampa e a ulteriore ostilità dei laburisti. Quando nel 1920 scoppiò un'insurrezione dei curdi in Iraq, Churchill autorizzò espressamente l'uso di gas non letali (lacrimogeni) per disperdere gli insorti. In ogni caso, sebbene rifornimenti di armi chimiche fossero giunti in Mesopotamia, difficoltà pratiche impedirono di usarli.
Pur sovente isolato dal Primo ministro e dal governo, Churchill riuscì comunque a conseguire diversi successi: consolidò l'indipendenza della Royal Air Force ponendo le basi per lo sviluppo dell'aeronautica militare del Regno Unito; nel 1920 organizzò una poderosa offensiva contro il capo islamico Mohammed Abdullah Hassan (detto Mad Mullah) in Somalia, ponendo una conclusione vittoriosa alla guerra anglo-somala dopo vent'anni di conflitto; inoltre, l'intervento militare in sostegno delle Repubbliche baltiche contro i bolscevichi preservò l'indipendenza di Estonia, Lettonia e Lituania per il successivo ventennio, nonostante il ritiro delle forze del Regno Unito dalla Russia.
Nel 1919, il Regno Unito e gli Stati Uniti d'America firmarono un trattato di alleanza con la Francia che però il Senato degli Stati Uniti rifiutò di ratificare, affossando così sul nascere la proposta alleanza anglo-franco-statunitense. Nel luglio 1921, Churchill sostenne alla conferenza imperiale dei che nonostante il disimpegno statunitense il Regno Unito avrebbe dovuto stipulare un'alleanza militare difensiva con la Francia per garantire la sicurezza post-bellica. Churchill sostenne inoltre che alla conferenza di pace di Parigi statunitensi e Regno Unito erano riusciti con successo a impedire che la Francia si annettesse la Renania, creando così un dovere morale di un impegno anglo-statunitense in Europa, dato che i francesi avevano rinunciato alla Renania in cambio di una garanzia del Regno Unito e degli Stati Uniti d'America per la propria sicurezza, che però non avevano ottenuto. Tuttavia l'idea di Churchill di un'alleanza anglo-francese fu rigettata dai Dominions, poiché le opinioni pubbliche erano contrarie a impegni in Europa.
In questo periodo scoppiò anche la guerra d'indipendenza irlandese e Churchill organizzò le forze contro-insurrezionali dei Black and Tans, composte da ex veterani dell'esercito e particolarmente dure nella repressione delle attività dell'IRA. La tattica era quella di costringere l'avversario a trattare da una posizione di superiorità: «Desidero unire un furioso assalto con l'offerta più generosa». Scrivendo al leader conservatore Andrew Bonar Law sintetizzò così la sua posizione verso il terrorismo: «Bisogna attaccare questa gente. Diventano assai pericolosi nel momento in cui pensano che si abbia paura di loro; è come domare una tigre, o meglio, una iena rognosa».
Nel 1920 Churchill fu critico nei confronti della decisione di Lloyd George e degli altri capi alleati di smantellare l'Impero ottomano, decisione formalizzata con le risoluzioni della conferenza di Sanremo di quell'anno. In particolare, ritenne che il sistema dei mandati mediorientali avrebbe impantanato il Regno Unito sovraesponendolo militarmente e distogliendo risorse da destinare invece ai territori storici dell'Impero britannico come l'India. Il contrasto con Lloyd George si accentuò sulla questione turca; Churchill rimproverò all'amico e collega il sostegno incondizionato da questi dato alle ambizioni greche sull'Anatolia, sostenendo che tale atteggiamento, oltre a isolare il Regno Unito rispetto agli alleati francesi e italiani, avrebbe aizzato i nazionalisti turchi contro il Regno Unito, costringendolo a mantenere dispendiosi presidi militari in Medio Oriente. Così scrisse al primo ministro:
«Le potenze europee dovrebbero, tutte insieme simultaneamente, rinunciare a tutti i loro interessi separati nell'Impero turco all'infuori di quelli che esistevano prima della guerra [...] Invece di dividere l'impero in sfere territoriali di sfruttamento separate, dovremmo unirci per preservare l'integrità dell'Impero turco così come esisteva prima della guerra.»
Anche riguardo al sionismo, nonostante le simpatie personali, Churchill non rinunciò a mettere in guardia Lloyd George: "il movimento sionista causerà conflitti con gli arabi e i francesi cercheranno di aizzarli contro di noi [...] l'avventura palestinese non porterà alcun beneficio concreto". Per l'aristocratico Churchill, erede della tradizione diplomatica incarnata da Lord Castlereagh (zio di sua nonna), lo smantellamento degli imperi tradizionali e la fine delle grandi dinastie regnanti in favore del principio nazionale rischiava di mettere in pericolo equilibri plurisecolari. Poco dopo il suo insediamento in Parlamento, nel 1901, aveva lanciato un ammonimento profetico:
«La democrazia è più vendicativa dei Gabinetti. Le guerre dei popoli saranno più terribili di quelle dei re.»
L'Iraq fu creato soprattutto per compensare Feysal della perdita della Siria, dalla quale era stato scacciato dai francesi. La scelta del principe hashemita fu sostenuta da Churchill e dai suoi consiglieri, in quanto ritenuto sufficientemente prestigioso come leader all'interno del mondo arabo e fedele alla Gran Bretagna. Scrivendo dal Cairo al Primo ministro David Lloyd George Churchill sostenne la candidatura di Feysal al trono iracheno affermando: Per esempio Ibn Saud, se scelto, getterebbe tutto il Paese in un putiferio religioso [...] Non abbiamo alcun dubbio che il sistema sharifiano offra prospettive di gran lunga migliori di queste, e infatti è l'unica politica possibile. Lo storico Christopher Catherwood, così sintetizza:
«Churchill comprendeva appieno che designare un musulmano wahabita come Ibn Saud avrebbe avuto tremendi effetti sulla maggioranza della popolazione sciita dell'Iraq. Inoltre, dato che l'Arabia Saudita possiede più petrolio di ogni altro Paese al mondo e le riserve irachene non sono da meno, uno Stato che avesse compreso due aree petrolifere simili, una volta che fossero state scoperte, avrebbe potuto tenere il resto del mondo alla sua mercé. Si sarebbe creato un superstato islamico wahabita di enorme potere, un Paese che a causa della sua ampia minoranza sciita sarebbe stato profondamente instabile sin dall'inizio.»
Churchill si fece sin dall'inizio assertore di un Iraq il più possibile autonomo e indipendente (perlomeno nella gestione dell'ordine interno), favorendo il rapido trapasso dalla gestione mandataria a quella dell'autogoverno locale. Come disse al Gabinetto il 5 ottobre 1922, a proposito della bozza di trattato da lui predisposto d'accordo con Feysal e Percy Cox:
«Questo abbozzo di trattato è per tutto conforme alle richieste della Società delle Nazioni e rispetta inoltre la promessa fatta a re Feysal che, nel caso dell'Iraq, l'Inghilterra avrebbe adottato un rapporto basato sul trattato in luogo di un rapporto mandatario. Da sempre l'idea del Gabinetto fu quella di rendere l'Iraq uno Stato arabo indipendente, legato all'Inghilterra dai termini del trattato durante il periodo mandatario.»
Nacque così, con la stipula del trattato anglo-iracheno del 1922, lo Stato dell'Iraq nella sua fisionomia attuale, anche se la piena indipendenza sarà raggiunta solo nel 1958.
Il 1921
Nel 1921 Churchill divenne segretario di Stato per le Colonie. I due principali eventi che caratterizzarono il suo mandato furono la firma del trattato anglo-irlandese del 1921 e la definizione del nuovo assetto del Medio Oriente. Fu un punto di svolta nella sua carriera, grazie al quale recuperò leadership e credibilità, anche a livello internazionale:
«Politicamente, il 1921 fu una pietra miliare nella carriera di Churchill. Quando l'anno cominciò, la sua posizione era precaria e nessuno poteva essere sicuro se fosse destinato all'oblio o alla gloria.[...] "Winston era considerato un avventuriero" osservò uno scaltro personaggio addentro ai segreti della politica britannica, poco prima dell'inizio dell'anno. "Il Paese lo considera coraggioso, ma malvagio". Tuttavia, alla fine del 1921 un altro osservatore offrì una visione totalmente differente, rappresentandolo come statista e negoziatore con un futuro radioso davanti a sé: "Se fossi un ambizioso backbencher, mi legherei alla sua stella", dichiarò. "Winston sembra l'unico uomo nel Gabinetto con una visiona chiara e coerente della politica mondiale". Churchill era chiaramente a un bivio. Gli ci vollero altri due decenni per ottenere le chiavi del n. 10 di Downing Street[...] Ma fu in quei cruciali dodici mesi che pose le fondamenta della sua gloria futura.»
Geopolitica mediorientale
«Nessun uomo ha giocato un ruolo più cruciale nella creazione del Medio Oriente per come lo conosciamo di Winston Churchill.»
Nonostante lo scetticismo sulla politica mandataria Churchill presiedette la . A essa parteciparono il colonnello Lawrence (Lawrence d'Arabia), Gertrude Bell, Hugh Trenchard, sir e sir Percy Cox. Nei preliminari dell'incontro, Churchill aveva incontrato delegati sia degli arabi sia del Consiglio nazionale ebraico. In un colloquio riservato con l'emiro Abdullah, gli promise che la Transgiordania sarebbe stata uno Stato arabo sotto la sua sovranità, esclusa dalla "Jewish National Home" promessa dalla dichiarazione Balfour. In risposta alle preoccupazioni del sovrano, Churchill affermò: «L'immigrazione ebraica sarà un processo molto lento e diritti dell'esistente popolazione non ebraica saranno rigidamente preservati».
La conferenza presieduta da Churchill fu alla base dell'assetto politico del Medio Oriente ancora esistente a un secolo di distanza. Trovandosi a dover concretizzare le decisioni prese da Lloyd George e dagli altri leader alleati a Sanremo, Churchill si prefisse l'obiettivo prioritario di organizzare un progressivo ma rapido disimpegno britannico dalla regione, stabilendo comunque un assetto che garantisse gli interessi britannici. Il Libano e la Siria, definiti nei loro confini attuali, rimasero sotto mandato francese. Vennero anche tracciati i confini dell'Iraq, unendo i precedenti vilayet ottomani di Bassora, Baghdad e Mosul, e della Giordania, affidati rispettivamente ai fratelli Faysal e Abdullah della dinastia hashemita, imparentata con Maometto. In particolare, Churchill fu il principale artefice della Giordania attuale e sotto il suo mandato venne definito il confine tra Giordania e Arabia Saudita, detto per questo "Winston's Hiccup" (il singhiozzo di Winston). Il padre dei due nuovi sovrani, lo sceriffo Husayn di La Mecca divenne re dello Hejaz e Abdul Aziz ibn Saud, fondatore della dinastia saudita, vide riconosciuto il suo controllo sulla regione del Najd, strappata agli ottomani, nucleo dell'attuale Arabia Saudita. Churchill avrebbe anche favorito la creazione di uno Stato cuscinetto curdo tra Iraq e Turchia, ma incontrò la ferma opposizione di Feysal, appoggiato da Percy Cox, che suggerì di inglobare il Kurdistan, con i suoi giacimenti petroliferi, nel Regno dell'Iraq.
Un altro tema cruciale che Churchill dovette affrontare al Cairo fu quello di conciliare le promesse fatte dalla Gran Bretagna durante la guerra agli arabi e agli ebrei, sempre nell'ottica di un disimpegno dal controllo diretto della regione, favorendo invece la nascita di potentati locali alleati. In quest'ottica, soprattutto la Giordania fu una creatura puramente churchilliana, scorporata da Churchill dal territorio originariamente destinato al protettorato palestinese, allo scopo, sia di mantenere le promesse fatte allo sceriffo Husayn di affidare agli Hashemiti un ruolo guida degli arabi liberati dal giogo ottomano sia, in particolare, di creare uno Stato cuscinetto tra l'Arabia Saudita e la Palestina destinata all'insediamento sionista; all'interno del territorio giordano Churchill pose infatti anche il porto di Aqaba, di fondamentale importanza strategica per il controllo del Mar Rosso e del canale di Suez. Lo storico Claudio Vercelli così sintetizza le ragioni che portarono Churchill e i suoi consiglieri a creare la Giordania:
«Vivere in Palestina significava, a questo punto, far parte di un'unità geopolitica più coesa che in passato [...] In attesa dell'approvazione internazionale dello status della Palestina, avvenuta nel 1923, il governo britannico ne negoziò l'assetto confinario definitivo, creando in tal modo uno spazio più precisamente delimitato [...] e inducendo nella popolazione che in questo spazio viveva un senso di appartenenza più marcato. L'assetto confinario finale tornò utile al movimento sionista per definire, anche geograficamente, il concetto di Eretz Yisra'el.»
L'assetto politico stabilito da Churchill al Cairo creò quindi una rete di Stati arabi sunniti amici della Gran Bretagna, che garantivano la sicurezza e la stabilità delle rotte navali, aeree ed energetiche, sgravando allo stesso tempo l'Impero britannico da un controllo diretto dell'area mediorientale, affidato a capi locali, secondo il modello della indirect rule già ampiamente sperimentato in India e in Africa. L'impostazione data da Churchill nel 1922 alla politica mediorientale dell'Occidente (alleanza con il mondo sunnita ed equilibrio di potenza tra i vari attori regionali) è rimasta sostanzialmente inalterata fino al presente. Il colonnello Lawrence, che divenne in questo periodo amico personale di Churchill, scrisse: «A Winston Churchill è stato affidato il compito di definire l'assetto del Medio Oriente; e in poche settimane, alla Conferenza del Cairo, ha sbrogliato l'intera matassa, trovando soluzioni che adempiono (io credo), alle nostre promesse nella lettera e nello spirito».
Nel 1922 Herbert Samuel e altri funzionari del Colonial Office, su incarico di Churchill, redassero il documento noto come Churchill White Paper (libro bianco di Churchill). In esso si stabilivano i principi operativi che avrebbero dovuto guidare lo stabilimento del "focolare" nazionale ebraico in Palestina, in un senso che, sebbene ribadisse il contenuto della dichiarazione Balfour, ne limitava allo stesso tempo la portata pratica. La "Jewish National Home" non veniva intesa come uno Stato ebraico indipendente, ma semplicemente come un "centro culturale e spirituale per il popolo ebraico". Inoltre, vi si dichiarava che l'immigrazione ebraica avrebbe dovuto essere compatibile con "la capacità economica del Paese" di assorbirla. Nonostante questa formulazione di compromesso con le istanze arabe, essa venne rigettata dai rappresentanti arabi, mentre le organizzazioni sioniste vi avevano aderito.
Nello stesso anno l'intervento personale di Churchill fu decisivo nel preservare l'impegno britannico contenuto nella dichiarazione Balfour. La Camera dei Lord aveva votato con una maggioranza dei due terzi per revocare la dichiarazione e bloccare l'immigrazione ebraica in Palestina (sulla stessa scia di quanto avveniva negli Stati Uniti). Le motivazioni addotte erano schiettamente antisemite: un deputato affermò che una politica favorevole alle aspirazioni ebraiche si sarebbe scontrata con "l'ostilità ereditaria che in tutto il mondo circonda la razza ebraica". L'emigrazione degli ebrei dall'Europa orientale era infatti ripresa massicciamente dopo la guerra, anche a causa della presa del potere di governi ultranazionalisti in Polonia e nei Paesi baltici. Il 4 luglio 1922 Churchill tenne uno dei suoi più brillanti interventi parlamentari, a detta dello storico Paul Johnson, nel quale riuscì a convincere la Camera dei Comuni a ribaltare il voto dei Lord, con una schiacciante maggioranza di 292 voti contro 35. Negli anni immediatamente seguenti ebbe quindi inizio la "quarta Aliyah", nella quale 80 000 ebrei, provenienti quasi interamente da Polonia, Unione Sovietica, Lituania e Romania, si stabilirono in Palestina.
La simpatia personale di Churchill andava dunque al sionismo, movimento laico e "occidentale", piuttosto che ai musulmani; tuttavia egli tentò sempre di mantenere una politica di equidistanza rispetto alle parti, cercando di venire incontro, per quanto possibile, alle preoccupazioni arabe. Churchill mantenne comunque un atteggiamento critico verso la natura punitiva del trattato di Sèvres stipulato con l'Impero ottomano, già dimostrato in precedenza, continuando a farsi assertore di una politica conciliante verso la Turchia kemalista. Secondo "Churchill riteneva che una politica di distensione verso il sultano ottomano, che era anche il califfo dell'Islam, fosse un'intelligente politica imperiale". In questo contesto si inserisce anche la creazione dello Stato giordano, malvista dai sionisti più intransigenti, che voleva essere un segno della buona volontà britannica verso gli arabi. Fu sempre suo convincimento, ribadito anche negli anni trenta, quando fu uno dei consulenti della commissione Peel, che lo sviluppo economico della Palestina favorito dall'immigrazione ebraica avrebbe a poco a poco stemperato le ostilità arabe.
Questione irlandese
In questo periodo, Churchill fu anche protagonista della soluzione del conflitto irlandese. Nel novembre 1921 incontrò più volte i delegati del Sinn Féin Arthur Griffith e Michael Collins per definire le clausole del trattato anglo-irlandese. Infatti Lloyd George, conoscendo le sue abilità di negoziatore, aveva affidato a Churchill la conduzione delle trattative. Il trattato venne firmato alle tre del mattino del 6 dicembre, nell'abitazione di Churchill a Londra. Per proteggere gli interessi navali britannici, Churchill riuscì a inserire nel trattato la clausola in base alla quale i porti irlandesi di Cobh, e Lough Swilly rimanessero nella disponibilità della Royal Navy. I porti tornarono poi sotto piena sovranità irlandese nel 1938, con il , dopo che lo Stato Libero era diventato l'attuale Repubblica d'Irlanda. Quando gli irriducibili dell'IRA rifiutarono la firma del trattato, Churchill sostenne le forze armate del neonato Stato Libero d'Irlanda a reprimere le insurrezioni, schierandosi con Michael Collins.
Sulla questione irlandese la posizione di Churchill fu eccentrica rispetto al tradizionale establishment conservatore, mostrandosi maggiormente legata alla militanza liberale. Infatti, per lui la partizione prevista dal trattato del 1921 era da considerarsi una soluzione temporanea, necessaria per ottenere la ratifica da parte dei Tories unionisti, il partito dominante della coalizione postbellica. Sul lungo periodo Churchill ragionava come Gladstone nei termini della Home rule, ossia di un'Irlanda autonoma ma unita, nella quale una forte minoranza protestante avrebbe condizionato la politica del Paese in senso filobritannico, sgravando al contempo il Regno Unito dai costi del controllo militare del territorio. Nel 1940, una volta premier, Churchill offrì al primo ministro irlandese Éamon de Valera la riunificazione dell'isola in cambio dell'ingresso in guerra dell'Irlanda a fianco del Regno Unito. Ancora nel 1946 Churchill disse all'ambasciatore irlandese a Londra: «Ho detto alcune parole in parlamento l'altro giorno sul vostro Paese perché spero ancora in un'Irlanda unita. Dovete prendervi anche quelli del Nord, ma senza la forza. Non c'è e non c'è mai stata alcuna animosità nel mio cuore verso il vostro Paese».
Ritorno al partito conservatore
Nell'ottobre 1922 Churchill venne operato per un'appendicite e rimase al di fuori dei rivolgimenti politici del periodo. I conservatori, nel corso di una riunione nella loro sede, il , guidati da Stanley Baldwin decisero di abbandonare la coalizione con Lloyd George, nonostante la contrarietà di Arthur Balfour, costringendolo a dimettersi e a indire le elezioni per il 15 novembre. Essendo ancora convalescente Churchill non poté prendere parte alla campagna elettorale, sebbene la moglie Clementine si recasse a Dundee al suo posto, ma in generale in sua assenza la campagna fu mal condotta. Il risultato fu che il voto si disperse e Churchill arrivò quarto nella competizione (solo i primi due venivano eletti).
Nell'agosto 1923, essendo estraneo al Parlamento, agì come consulente delle compagnie petrolifere e Royal Dutch Shell, patrocinandone con successo la fusione presso il governo di Stanley Baldwin. Nel novembre dello stesso anno il premier conservatore indisse nuove elezioni; Churchill si gettò nuovamente nella mischia come candidato liberale, denunciando vigorosamente il programma protezionista presentato da Baldwin. Candidatosi per il seggio di Leicester subì una sconfitta di misura, mentre quelle elezioni videro un arretramento dei conservatori che persero un centinaio di seggi. A questo punto Asquith, che aveva riconquistato l'appoggio della maggior parte dei liberali, portò il suo partito all'alleanza con i laburisti, mossa che Churchill criticò aspramente. La svolta verso i laburisti allontanò sempre più Churchill dai liberali, portandolo a riavvicinarsi ai Tories. Accettò quindi la candidatura a un seggio conservatore sicuro a Epping nell'Essex. Alle elezioni anticipate del 29 ottobre 1924, alle quali Churchill si era presentato come "costituzionalista indipendente", i conservatori ottennero una maggioranza schiacciante con 419 seggi contro i 151 dei laburisti e appena 40 liberali. Stanley Baldwin, nuovamente primo ministro, nominò Churchill cancelliere dello Scacchiere nel nuovo governo.
Cancelliere dello Scacchiere (1924-1929)
Nel suo incarico, Churchill rinnovò i suoi interessi riformisti in campo sociale, affiancato questa volta dal ministro della Sanità Neville Chamberlain (fratellastro di Austen e figlio di quel Joseph Chamberlain in opposizione al quale Churchill aveva abbandonato il partito conservatore agli inizi della carriera). Insieme predisposero un piano di ampliamento della previdenza sociale e Churchill dispose anche un piano di abbassamento delle imposte sul reddito per "professionisti e piccoli commercianti". Nel gennaio del 1925 Churchill fu impegnato in un'intensa serie di negoziati a Parigi con gli Stati Uniti e altri Paesi alleati della prima guerra mondiale per il pagamento dei debiti di guerra. Riuscì a ottenere un consenso unanime sulla sua proposta di rateizzare i pagamenti del Regno Unito in proporzione alla restituzione dei crediti da essa vantati verso altri alleati come Francia, Belgio, Italia e Giappone.
Sempre in ambito internazionale, Churchill convinse il governo britannico a includere la Germania nei colloqui che alla fine avrebbero dato origine al trattato di Locarno del dicembre 1925, che sembrò dare impulso a un parziale superamento delle clausole punitive di Versailles. Si oppose inoltre a un massiccio riarmo navale, sia per diminuire la tassazione sui redditi, uno dei suoi obiettivi programmatici, sia per non innescare una nuova corsa agli armamenti.
Churchill, in qualità di cancelliere dello Scacchiere, annunciò nel 1924 il ritorno del Regno Unito al gold standard, la decisione più controversa del suo mandato. La misura, introdotta nel bilancio presentato alla Camera il 28 aprile del 1925, arrivò dopo lunghe consultazioni con vari economisti tra cui John Maynard Keynes, il governatore della Banca d'Inghilterra e il segretario permanente al Tesoro Sir . Poco dopo Keynes scrisse il pamphlet , sostenendo che il ritorno alla parità prebellica nel 1925 avrebbe portato a una depressione mondiale. Tuttavia, la reintroduzione della parità aurea era già stata prevista nell'immediato dopoguerra e godeva dell'appoggio anche del partito laburista, sebbene fosse stata criticata da Lord Beaverbrook e dalla Federazione delle industrie britanniche.
In seguito, in discussioni con l'ex cancelliere Reginald McKenna, Churchill riconobbe che il ritorno al gold standard e la conseguente politica erano stati economicamente negativi. Sostenne che la decisione era stata fondamentalmente politica, un ritorno alle condizioni prebelliche di supremazia internazionale della sterlina. La politica economica di Churchill fu largamente di tipo gladstoniano (il ministro laburista Ernest Bevin disse che Gladstone era stato al Tesoro dal 1860 al 1930) e legata ai postulati dell'economia classica: riduzione del ruolo dello Stato accompagnato da razionalizzazione e riduzione del carico fiscale, oltre a rifiuto del protezionismo, coerentemente con le posizioni di inizio secolo. In questo Churchill rimase chiaramente legato alla sua militanza liberale, più che alle idee protezioniste diffuse tra i conservatori. Si trattava inoltre di una politica funzionale alla dimensione di impero globale del Regno Unito, della quale Churchill fu anche in questo caso strenuo difensore, ma ormai inadatta a un'epoca nella quale quella dimensione imperiale andava riducendosi. La storiografia economica ha sottolineato che il ritorno alla parità aurea aveva una sua intima razionalità finanziaria, poiché tutelava la supremazia britannica nel settore degli investimenti esteri, dei prestiti internazionali e dei movimenti di capitale:
«Queste politiche, insieme alla competenze finanziarie dei banchieri londinesi, fecero sì che, sebbene New York fosse divenuta la piazza preferita per ottenere finanziamenti da parte di pubblici e privati, la City poté continuare a essere un centro finanziario di primo piano, aumentando le proprie ricchezze per tutti gli anni Venti.»
Aggiunge lo storico Fabio Casini:
«(Churchill) non aveva mai nascosto le sue perplessità sul ritorno al regime aureo anteguerra, evidenziando rischi e implicazioni di tale scelta. Tuttavia toccò proprio a lui emanare il 14 maggio 1925 il Gold Standard Act, che ridefiniva la convertibilità della sterlina in oro al suo valore antebellico, pari ad un rapporto di 4,86 dollari per sterlina: un rapporto, come ebbe a dire Keynes, che sopravvalutava la sterlina di almeno il 10 per cento. [...] Il ritorno della Gran Bretagna al sistema aureo anteguerra suscitò entusiasmo e rinnovate speranze fra i vari governatori delle maggiori banche centrali.»
Il ritorno alla parità aurea favoriva anche la stabilità dei prezzi e annullava di fatto l'inflazione (che negli stessi anni falcidiava la Germania). Ciò produsse un aumento delle importazioni, proposito anch'esso di schietta matrice strategica: per preservare la propria posizione al centro del sistema commerciale globale e conservare il predominio imperiale la Gran Bretagna doveva favorire le importazioni dalle province (Canada, Australia, Sudafrica e India), per mantenerle legate al proprio sistema, al prezzo tuttavia di mettere in difficoltà le produzioni interne meno competitive. Nel 1930 la sterlina tornò infatti al valore dell'età vittoriana, diventando la moneta più forte del mondo.
Sul piano fiscale Churchill, da liberale gladstoniano, non accolse mai il keynesismo e fu sempre contrario all'aumento della spesa pubblica tramite l'indebitamento; dall'altro proseguì, d'intesa con Neville Chamberlain e con lo stesso Baldwin, una politica riformistica di integrazione delle classi lavoratrici tramite la redistribuzione della ricchezza, rafforzando così il consenso dei Tories tra l'elettorato liberale non socialista (il motivo per cui Baldwin lo aveva voluto nel governo). In questo contesto si collocano le riforme varate da Churchill e Chamberlain come il "Widows and Old Age Pensions Act" del 1926 e il "National Health Insurance Act" del 1925 che ampliavano il numero di aventi diritto alla pensione e all'assicurazione sanitaria. Inoltre, Churchill stanziò risorse per finanziare un piano di quindici anni per la costruzione di case popolari.
Tuttavia, la conseguenza più pesante del ritorno al tasso di cambio prebellico fu la depressione dell'export britannico, a causa dell'aumentato costo del denaro. La più colpita fu l'industria del carbone, che era già in sofferenza a causa del crescente successo del petrolio. Accanto a essa l'industria tessile e il comparto primario, come i cotonieri, che erano tradizionalmente più competitivi nei mercati di esportazione. Secondo A.J.P. Taylor invece, il decremento dell'export fu dovuto alla minore competitività dei prodotti sui mercati internazionali, e non fu particolarmente influenzata dal ritorno alla parità aurea.
Per il suo passato liberale, Churchill rimase il riferimento dei sindacati nel governo, e si dimostrò disposto a mediare: con il suo sostegno, Baldwin propose una sovvenzione all'industria mentre una commissione sotto la guida di Herbert Samuel preparò un ulteriore rapporto. Tuttavia, la disputa con i minatori si trascinò e portò allo sciopero generale del 1926. Churchill pubblicò il giornale ufficiale del governo, la British Gazette, caratterizzato da una forte linea antisocialista. Raccomandò tra l'altro che la via dei convogli alimentari dai moli portuali a Londra fosse sorvegliata da carri armati, auto blindate e mitragliatrici nascoste, anche se questa soluzione fu respinta dal consiglio dei ministri. Il New Statesman affermò che Churchill era stato il capo di un "partito della guerra" nel gabinetto e aveva voluto usare la forza militare contro gli scioperanti. Si trattava di un'esagerazione e Churchill volle sporgere querela, ma il procuratore generale Sir gli consigliò di non farlo, per evitare che le discussioni confidenziali del gabinetto venissero trasmesse in tribunale. Le Trade Unions furono alla fine sconfitte e si aprì una lunga stagione di sostanziale egemonia conservatrice.
Nei Budget del 1926 e 1927 Churchill riuscì, tramite un aumento delle imposte sui beni di lusso, sul gioco d'azzardo e sui carburanti unito a un taglio alle spese militari a ridurre il debito ereditato dalla guerra, oltre a ridurre le imposte sul reddito. Anche in questo caso, la politica di riduzione dell'indebitamento e il privilegio dato alla tassazione indiretta su quella diretta era eredità di Gladstone. Il 1928 fu definito l'"anno d'oro": la disoccupazione si ridusse a poco più di un milione di unità, la punta più bassa tra le due guerre e la produzione industriale aumentò del 14%.
Il 15 aprile 1929 Churchill presentò in Parlamento il suo quinto Budget, nel quale annunciò l'abolizione della tassa sul tè, introdotta al tempo della regina Elisabetta I. A maggio si tennero le elezioni generali e, sebbene i conservatori avessero ottenuto più voti, i laburisti vinsero la maggioranza dei seggi e Ramsay MacDonald formò il nuovo governo.
Isolamento politico (1930-1939)
Dopo la sconfitta dei conservatori alle elezioni generali del 1929 Churchill si estraniò sempre più dal suo partito, passando di fatto a un'opposizione permanente. Nei primi anni trenta Churchill si dedicò principalmente all'attività editoriale, completando le sue monumentali memorie sulla prima guerra mondiale intitolate "World Crisis" e scrivendo una biografia del suo famoso avo, John Churchill, I duca di Marlborough, intitolate "Marlborough: His Life and Times", il cui principale obiettivo era difendere quest'ultimo dalle critiche della storiografia Whig, soprattutto di Macaulay. Per questo lavoro Churchill ebbe la possibilità di accedere a una gran quantità di materiale documentale inedito negli archivi di famiglia a Blenheim e Althorp House, oltre che nel resto d'Europa; per questo la biografia di Marlborough è una delle opere più interessanti di Churchill anche per gli storici moderni.
Nel 1930, durante una lezione tenuta a Oxford, descrisse la sua visione circa il declino della democrazia a causa del populismo e l'ascesa di regimi autoritari:
«La democrazia si è dimostrata incauta proprio in merito a quelle istituzioni mediante cui ha ottenuto il proprio status politico. Sembra ormai pronta a cedere i tangibili diritti conquistati con secoli di aspre lotte alle organizzazioni di partito, alle leghe e associazioni, ai capi militari o a varie forme di dittatura.»
Nello stesso anno nella prefazione al suo libro di memorie "My Early Life" espose idee analoghe:
«Devo spiegare che in quei facili giorni avevamo una vera democrazia politica, guidata da una gerarchia di uomini di Stato, e non da una massa fluida distratta dai giornali. Tutto questo avveniva prima che si instaurasse il disfacimento del sistema politico britannico.»
Per questo ritenne auspicabile una revisione del principio del suffragio universale e il ritorno a un sistema elettorale ottocentesco, censitario e con il voto limitato ai capifamiglia. Tuttavia, non portò mai avanti seriamente queste idee, limitandosi a un personale nostalgico ricordo dei "Fiori appassiti del liberalismo vittoriano". In realtà Churchill era disgustato da tutti i regimi totalitari come il nazismo e il comunismo (che riteneva di distinguere dagli autoritarismi bonapartisti come il fascismo italiano, più accettabili); da qui la sua sfiducia, in questa fase, verso la democrazia di massa, che ai suoi occhi degenerava inevitabilmente nella tirannide. Già ai primi decenni del secolo, quando era giovane ministro liberale, Churchill aveva intuito lucidamente la crisi del liberalismo classico, scrivendo nella biografia del padre:
«Ogni sorta di pesante tirannide era stata rovesciata. L'autorità era spezzata ovunque. Gli schiavi erano liberi. La coscienza era libera. Libero era il mercato. Ma erano liberi anche la fame, la miseria e il freddo; e gli uomini chiedevano qualcosa di più della libertà. Le vecchie parole d'ordine suonavano ancora vere, ma non bastavano più.»
Nel 1931 l'ex ministro del lavoro laburista Oswald Mosley, dimessosi per il rifiuto del partito di adottare il suo programma keynesiano di contrasto alla disoccupazione (contenuto nel ), creò una nuova formazione, il , con lo scopo di organizzare un'opposizione al governo di coalizione tra laburisti di MacDonald, conservatori e liberali nazionali formatosi quell'anno per fronteggiare la crisi economica. Il figlio di Churchill, Randolph, era grande amico di Mosley e quest'ultimo tentò di coinvolgere il padre nel progetto insieme a Lloyd George: avrebbe dovuto guidare una scissione dei conservatori e portare alla creazione di una terza forza politica centrista in grado di sfidare il consolidato bipartitismo britannico, con a capo Mosley e i due anziani statisti. Tuttavia, dopo vari incontri, Churchill rimase scettico e l'idea venne abbandonata.
La questione indiana
Gli inizi degli anni 1930 furono caratterizzati nel Regno Unito dal dibattito sulla concessione all'India britannica dello status di dominion, cioè di una larga autonomia politica. Churchill fu il capofila dell'opposizione al progetto, contro praticamente tutto lo schieramento politico (non solo laburisti e liberali, ma anche gran parte dei conservatori). Churchill motivò la sua opposizione asserendo che gli indiani erano ancora troppo divisi in odi religiosi (tra indù e musulmani) e costumi arcaici come la divisione castale per poter diventare una vera nazione. Cedere alle richieste indiane avrebbe inoltre minato la posizione internazionale del Regno Unito e l'integrità dell'Impero, la cui preservazione era ancora al centro della sua visione politica.
Come previsto da Churchill, il Partito del Congresso, guidato da Nehru e dal Mahatma Gandhi, rifiutò l'offerta, chiedendo la completa indipendenza. Venne quindi lanciata la campagna di disubbidienza civile, che portò all'arresto di Gandhi e Nehru per ordine del viceré Lord Irwin. Il 17 febbraio 1931 Gandhi incontrò Irwin a Delhi e Churchill lo definì "un avvocato sedizioso del Middle Temple che ora si atteggia a fachiro di un genere ben noto in Oriente". Churchill disse anche che se Gandhi fosse andato in sciopero della fame, si sarebbe dovuto lasciarlo morire.
Churchill si lanciò nella campagna con la consueta irruenza, adottando tattiche ostruzionistiche, intervenendo costantemente sulla stampa e attaccando il governo. Alcuni osservatori credettero che stesse trascinando con sé molti conservatori, perché godeva ancora di molto prestigio tra i backbenchers e riusciva sempre a dettare i tempi e i termini del dibattito: la sua abilità parlamentare rimaneva ineguagliata. Tuttavia la sua stessa tattica dilatoria alla fine ne logorò il consenso, poiché non aveva dietro di sé una forza politica compatta, ma solo consensi occasionali ed eterogenei. Nonostante gli applausi che accompagnavano regolarmente i suoi interventi, alla fine l'India bill venne approvato con solide maggioranze.
Secondo "Hoare disse a Willingdon che Churchill pensava che il Regno Unito stesse diventando fascista e che lui, o qualcuno come lui, alla fine sarà in grado di governare l'India come Mussolini governa il Nordafrica. Ci sono segni che suggeriscono che le paure di Hoare circa l'orientamento politico di Churchill non fossero interamente fantasia". Anche William Manchester riporta che "Cripps, scrisse Dalton, credeva che Churchill "probabilmente sconfiggerà il governo sull'India la primavera prossima e formerà un governo suo, con maggioranza in questo Parlamento per poi introdurre misure fasciste e non ci saranno più elezioni generali"". Si trattava evidentemente di voci infondate, ma significative dell'isolamento e della diffidenza che circondavano Churchill in questa fase.
Nonostante la campagna anti-nazionalista, Churchill continuò a godere di importanti estimatori anche in India, come il famoso scrittore , peraltro vicino al movimento indipendentista. Lo stesso rapporto di Churchill con la leadership indiana e con Gandhi in particolare fu più complesso della semplice dura opposizione alle rivendicazioni nazionaliste. Quando era sottosegretario alle Colonie nel governo liberale di Campbell-Bannerman Churchill si oppose alle politiche discriminatorie degli immigrati indiani in Sudafrica messe in atto dal governatore Jan Smuts. A proposito di Churchill il leader indiano affermò:
«Ho un buon ricordo del signor Churchill quando era al Colonial Office e in qualche modo ho sempre avuto da allora l'idea che si potesse sempre contare sulla sua simpatia e buona volontà.»
Nel 1935, dopo l'approvazione della legge sull'autogoverno dell'India (Government of India Act), Churchill pranzò con il braccio destro di Gandhi, , al quale disse:
«Il signor Gandhi è salito di molto nella mia stima da quando ha preso le difese degli Intoccabili. Non sono d'accordo con la legge ma ormai è passata. Consideratelo un successo.»
Churchill era sempre stato un duro critico del sistema indù delle caste, uno dei motivi per cui riteneva che gli indiani non potessero costituirsi in una vera nazione moderna: «Come si può dare l'indipendenza a gente che tratta così male i suoi stessi simili?», scrisse in un articolo di giornale, coerentemente con il suo razionalismo vittoriano di gioventù.
Appeasement e politica internazionale (1931-1936)
«L'intera storia del mondo si riassume nel fatto che quando le nazioni sono forti, non sempre sono giuste, e quando aspirano a essere giuste spesso hanno smesso di essere forti.»
Churchill fu forse l'unico tra gli esponenti politici britannici e mondiali a manifestare sin dai primi anni trenta preoccupazione verso il regime instauratosi in Germania. Tuttavia, il governo di unità nazionale tra laburisti e conservatori formatosi nel 1931 e dal quale Churchill era stato escluso continuò a portare avanti una politica di disarmo, incoraggiata anche dal cancelliere dello Scacchiere Neville Chamberlain per ragioni di vincoli economici. Per tutto il 1934 Churchill intensificò la sua campagna per il riarmo, soprattutto aereo. Già prima della Grande Guerra Churchill aveva infatti intuito l'importanza fondamentale che l'arma aerea avrebbe assunto nella guerra moderna. Il ministro dell'Aviazione nel governo di Ramsay MacDonald era il cugino di Churchill, Charles Vane-Tempest-Stewart, VII marchese di Londonderry, il quale, sebbene scettico, di fatto promosse una politica di disarmo della Royal Air Force in linea con il governo e le pressioni laburiste.
Nel giugno 1935 Ramsay MacDonald, ormai malato, si dimise e Stanley Baldwin tornò primo ministro, ma Churchill rimase nuovamente fuori dal governo. In agosto Mussolini minacciò l'invasione dell'Etiopia. In questo momento cominciò a incrinarsi la stima di Churchill verso il dittatore italiano, che sempre più evidentemente si andava avvicinando alla Germania nazista. Tuttavia, anche in questa occasione Churchill mostrò un atteggiamento più conciliante verso l'Italia, allo scopo di mantenerla nel fronte occidentale ed evitare un avvicinamento alla Germania. Riteneva che un embargo petrolifero avrebbe distrutto il fragile Fronte di Stresa e costretto Mussolini a schierarsi con Hitler (come poi in effetti avvenne): una posizione improntata alla Realpolitik.
Nel medesimo solco, allo scopo di non isolare il Regno Unito, Churchill appoggiò la politica del non intervento nella guerra civile spagnola e sostenne anche il patto Hoare-Laval, che mirava a conciliare le ambizioni italiane sull'Etiopia tramite la mediazione franco-britannica, in contrasto con l'intransigenza mostrata dal giovane ministro degli Esteri Anthony Eden, successore di Hoare.
Con riferimento alla situazione dell'Estremo Oriente, nel 1931, Churchill aveva criticato la posizione della Lega delle Nazioni che si opponeva ai giapponesi in Manciuria: "Spero che in Inghilterra cercheremo di capire la posizione del Giappone, uno stato antico [...] Da un lato hanno la minaccia oscura della Russia sovietica. Dall'altro il caos della Cina". Anche questa posizione riecheggiava scelte tattiche già assunte dalla politica estera edoardiana: la Gran Bretagna, avendo il suo centro di interessi strategici nell'area euro-mediterranea, non avrebbe dovuto esporsi in Asia, cercando di mantenere il più possibile buoni rapporti con il Giappone per evitare minacce ai possedimenti indiani.
A partire dal 1935, sulla base della comune opposizione al nazismo, Churchill recuperò anche un positivo rapporto con le sinistre e il mondo sindacale, che si era interrotto dopo il grande sciopero del 1926. In quell'anno si unì all'Anti-Nazi Council, un comitato formatosi nel 1933 e nel quale Hugh Dalton, del partito laburista e Walter Citrine, presidente del Trades Union Congress, erano i maggiori esponenti.
Churchill si trovava in vacanza in Spagna quando i tedeschi rioccuparono la Renania nel febbraio del 1936. L'opposizione laburista era irremovibile nell'opporsi alle sanzioni e il governo nazionale era diviso tra i sostenitori delle sanzioni economiche e coloro che sostenevano che anche queste avrebbero portato a un umiliante arretramento da parte del Regno Unito, dato che la Francia non avrebbe sostenuto alcun intervento. Il discorso di Churchill del 9 marzo fu misurato e lodato da Neville Chamberlain come costruttivo. Ma poche settimane dopo a Churchill fu preferito per l'incarico di ministro per il Coordinamento della Difesa il procuratore generale Sir Thomas Inskip. A.J.P. Taylor in seguito definì questa scelta "una nomina giustamente descritta come la più straordinaria da quando Caligola nominò console il suo cavallo". Alcuni studiosi hanno sottolineato che, pur nella sua avversione al nazionalsocialismo e nella diffidenza verso la Germania, Churchill non ignorava le difficoltà oggettive della posizione britannica e non si mostrò, almeno fino al 1938, pregiudizialmente ostile a un riconoscimento delle richieste tedesche o delle altre potenze "revisioniste", purché queste non mettessero a repentaglio l'ordine internazionale.
Il 12 novembre Churchill tornò ad attaccare il governo Baldwin sul tema del riarmo. Dopo aver dato alcuni esempi specifici del riarmo bellico tedesco, affermò: «il governo semplicemente non riesce a prendere una decisione o non può convincere il primo ministro a prendere una decisione, quindi prosegue in uno strano paradosso. Decisi solo di essere indecisi, risoluti a essere irresoluti, irremovibili verso la deriva, solidi nella fluidità, potenti nell'impotenza. E così continuiamo a perdere altri mesi preziosi, forse vitali affinché le locuste divorino la grandezza della Gran Bretagna». definì "il discorso delle locuste" uno dei più brillanti di Churchill in quel periodo, mentre la risposta di Baldwin suonò debole in confronto. Lo scambio diede nuovo incoraggiamento al Movimento delle Armi e dell'Alleanza, creato da Churchill per fare pressione sul governo in senso favorevole al riarmo.
Allo scopo di prevenire un nuovo conflitto europeo, Churchill propose a questo punto la creazione di una "Grande Alleanza", comprendente tutti i Paesi europei minacciati dall'espansionismo tedesco: la Francia, i Paesi dell'Europa centro-orientale e, potenzialmente, anche l'Italia. Una simile concentrazione di forze, proclamò alla Camera dei Comuni nel 1938, avrebbe dissuaso la Germania dall'uso della forza. Nello stesso periodo manifestò anche le prime aperture a un coinvolgimento sovietico. Nel 1937, in un colloquio con l'ambasciatore sovietico Ivan Majskij, affermò:
«Il compito principale di tutti noi che difendiamo la pace, è di aiutarci a vicenda. Altrimenti saremo perduti. Una Russia indebolita costituisce un immenso pericolo per la causa della pace e per l’inviolabilità del nostro impero. Abbiamo bisogno di una Russia forte, molto forte[...] Finché la Russia si rafforza, invece di indebolirsi, allora tutto va bene. Ripeto: abbiamo tutti bisogno di una Russia forte, ne abbiamo terribilmente bisogno!"»
Lo storico Giuseppe Vacca osserva:
«(Churchill) non solo era a conoscenza delle infiltrazioni sovietiche ma le favoriva al punto da accogliere in Inghilterra gruppi di agenti di Stalin per il loro addestramento. Erano gli anni in cui l'Urss virava verso la sicurezza collettiva [...] e Churchill sperimentava le potenzialità di un'intesa con Stalin per il controllo anglo-sovietico della politica europea in funzione antihitleriana. Quindi non ostacolava l'infiltrazione sovietica negli apparati di intelligence inglesi per controllare meglio la duplicità attuale o potenziale dei loro agenti.»
Tra il settembre 1936 e il marzo 1937 Churchill compì due viaggi in Francia, allo scopo di avviare una propria diplomazia parallela a consultarsi con le forze politiche francesi antinaziste. Incontrò Pierre-Étienne Flandin, i generali Maurice Gamelin e , Paul Reynaud ed Édouard Daladier; incontrò anche il premier socialista Léon Blum, per il quale provò una grande stima, ed era sua intenzione anche incontrare esponenti comunisti, ma l'ambasciatore Eric Phipps glielo impedì. Nel corso degli incontri incoraggiò l'amicizia tra i due Paesi, culle della democrazia, una delle costanti della sua politica estera, "in contrasto con le dottrine del compagno Trotskij e del dottor Goebbels". Churchill trovò una buona accoglienza da parte di Reynaud e Blum, ma non di Flandin, che sarà poi un sostenitore di Vichy: ciò lo rese conscio, nonostante la sua incrollabile francofilia, che la Francia non sarebbe stato un alleato affidabile in caso di guerra.
Crisi dell'abdicazione
Nel gennaio del 1936 salì al trono il re Edoardo VIII, con il quale Churchill intratteneva un rapporto di amicizia da 25 anni. Quando emerse la volontà da parte del nuovo sovrano di sposare l'americana divorziata Wallis Simpson, Baldwin incaricò Churchill di tentare di convincerlo a rinunciare alla Simpson e a non abdicare. Il 7 dicembre tenne alla Camera un discorso in favore di Edoardo, ma venne sommerso da fischi e improperi e fu costretto a interrompere il discorso. I deputati, e anche la stampa, ritenevano che Churchill intendesse approfittare della crisi istituzionale per rovesciare Baldwin.
La reputazione di Churchill in Parlamento e Inghilterra in genere fu gravemente danneggiata. Alcuni come Alistair Cook hanno voluto vedere nelle sue mosse un tentativo di costruire un partito del re. Altri come Harold Macmillan furono stupiti dal danno che Churchill aveva procurato al movimento antinazista "Armi e Alleanze" con la sua difesa di Edoardo VIII. In seguito, lo stesso Churchill scrisse: «Ero sceso così in basso nell'opinione pubblica che la visione quasi universale era che la mia vita politica fosse finita». Gli storici sono divisi sulle ragioni per le quali Churchill sostenne Edoardo VIII. Alcuni come A. J. P. Taylor lo considerarono un tentativo di "rovesciare il governo di uomini deboli". Altri, come R.R. James, considerarono i motivi di Churchill onorevoli e disinteressati, dati i rapporti di amicizia che legavano Churchill e la sua famiglia con i reali. Secondo Giorgio Galli invece, la posizione di Churchill è spiegabile con il fatto che intendesse tenere sotto controllo Edoardo, le cui simpatie filonaziste erano note, per evitare che questi si compromettesse.
Ritorno dall'esilio
Davanti all'evidente ascesa delle ambizioni espansioniste della Germania nazista, Churchill continuò, inascoltato dal governo britannico, a perorare la causa di un'azione internazionale per contenere la Germania, di concerto con la Francia. Tuttavia il nuovo governo, guidato da Neville Chamberlain, si fece promotore di una politica di avvicinamento al Terzo Reich e all'Italia; questo causò dissidi che condussero alle dimissioni del ministro degli Esteri Anthony Eden, il quale venne cooptato da Churchill e Lloyd George allo scopo di creare una fronda interna al partito conservatore ostile a Chamberlain.
Nel marzo, cominciarono a profilarsi le ambizioni naziste sui Sudeti, la regione montuosa della Cecoslovacchia abitata in maggioranza da tedeschi e ricca di materie prime. Ad aprile pranzò con il leader dei tedeschi dei Sudeti Konrad Henlein, un incontro fortemente voluto dallo stesso Hitler; Churchill chiese a Henlein se "si rendeva conto che un incidente nei Sudeti poteva facilmente dare l'Europa alle fiamme". Tuttavia, quando Henlein tornò in Germania disse a Hitler che "non c'è da temere alcun serio intervento a favore dei cechi da parte dell'Inghilterra". A settembre incontrò anche l'ambasciatore sovietico Ivan Maiskij, il quale informò Churchill che l'Unione Sovietica intendeva appellarsi all'art. 2 del patto della Lega delle Nazioni per concertare un'azione con gli occidentali in difesa della Cecoslovacchia. Tuttavia Halifax, informato da Churchill, rifiutò la possibilità di qualsiasi collaborazione con i sovietici. In quel frangente, scrivendo a un amico, Churchill formulò la frase rimasta poi celebre: "Sembriamo vicinissimi alla dura scelta tra guerra e vergogna. La mia sensazione è che sceglieremo la vergogna, per ritrovarci poco dopo di fronte alla guerra in condizioni ancora peggiori delle attuali".
Nelle concitate settimane che precedettero Monaco, Churchill tentò anche di appoggiare i tentativi di una parte degli ufficiali tedeschi per rovesciare Hitler. Si incontrò a questo scopo con Ewald von Kleist-Schmenzin, aristocratico prussiano antinazista, cercando di indurre il governo Chamberlain all'azione per sostenere i preparativi di colpo di Stato, ma senza esito.
Alla fine di settembre 1938 ebbe luogo la conferenza di Monaco. Gli accordi, siglati a porte chiuse senza alcun intervento dei rappresentanti cechi, prevedevano lo smembramento del Paese e l'annessione dei Sudeti alla Germania. Il trattato fu accolto con giubilo in tutta Europa. Mentre lasciava l'Hotel Savoy dove aveva cenato, Churchill si fermò davanti a un ristorante dove la gente festeggiava. Commentò: «Poveracci, non sanno cosa li aspetta». Nel dibattito sugli accordi che seguì alla Camera dei Comuni, Churchill condannò con un celebre discorso la svendita della Cecoslovacchia a Hitler.
«È tutto finito. Muta, triste, abbandonata, smembrata, la Cecoslovacchia svanisce nell'oscurità. [...] Questa è una sconfitta totale e assoluta. In un periodo che si può misurare in anni, ma anche solo in mesi, la Cecoslovacchia sarà inghiottita dal regime nazista [...] Ci troviamo di fronte ad un disastro di prima grandezza [...] Non abbiamo nessuna difficoltà a stringere relazioni cordiali con il popolo tedesco. Il nostro cuore gli è vicino. Ma esso non ha nessun potere. Si possono avere rapporti diplomatici e corretti, ma non ci può essere amicizia tra la democrazia britannica e il potere nazista [...] Mai siffatto potere potrà essere l'amico fidato della democrazia inglese. Trovo intollerabile l'idea che il nostro Paese cada sotto il potere e l'influenza e nell'orbita della Germania nazista [...] Non mi lamento del nostro popolo leale e coraggioso [...] ma esso deve sapere che abbiamo subito una sconfitta senza guerra, le cui conseguenze ci accompagneranno a lungo [...] Non pensate che sia finita; questo è solo l'inizio della resa dei conti [...]»
Durante il suo intervento Churchill fu costretto a interrompersi a causa delle urla e degli improperi degli altri deputati. Quando nel marzo, in violazione degli accordi di Monaco, Hitler invase quel che rimaneva della Cecoslovacchia annettendola al Reich, l'imminenza della guerra divenne evidente. Churchill scrisse a Chamberlain invitandolo a predisporre le difese antiaeree.
Il 7 aprile l'Italia fascista invase l'Albania. Nel corso dell'estate, Churchill insieme a Eden e all'anziano Lloyd George si fece assertore della necessità di coinvolgere l'Unione Sovietica in un sistema di deterrenza internazionale antinazista.
In un'intervista radiofonica, si prese gioco dell'interruzione estiva dei lavori parlamentari: «È proprio tempo di vacanze signore e signori!» e della propaganda nazifascista: «I dittatori devono addestrare i loro soldati. Per un'elementare prudenza non possono fare altro, dato che danesi, olandesi, svizzeri, albanesi, e ovviamente, ebrei, possono in ogni momento balzargli addosso e privarli del loro spazio vitale».
Quando, il 1º settembre 1939, i tedeschi invasero la Polonia (di concerto con i sovietici in accordo con il patto Molotov-Ribbentrop stipulato in agosto), Chamberlain, su pressione della Camera, inviò un ultimatum per chiedere la cessazione delle ostilità. Il primo ministro aveva già invitato Churchill a entrare nel governo di guerra che sarebbe stato formato di lì a poco. Il 3 settembre scadette l'ultimatum e Regno Unito e Germania si trovarono nuovamente in guerra.
Seconda guerra mondiale
«Era come se tutta la mia vita fosse stata una lunga preparazione a quel momento.»
Di nuovo all'Ammiragliato (1939-1940)
Il 3 settembre 1939, terminato il dibattito alla Camera Chamberlain convocò Churchill nel suo ufficio e gli offrì di ricoprire nuovamente l'incarico di primo lord dell'ammiragliato. Quando la notizia giunse agli uffici del ministero venne telegrafato immediatamente un messaggio a tutte le navi: «Winston is back» (Winston è tornato). Nella riunione del gabinetto di guerra del 4 settembre Churchill propose di attaccare immediatamente il fronte tedesco sulla linea Sigfrido, per alleggerire la pressione sul fronte polacco, ma l'azione non fu intrapresa. In questa fase detta della "drole de guerre" (la "strana guerra"), Regno Unito e Francia rimasero sostanzialmente inerti di fronte all'avanzare delle truppe naziste in Europa orientale, fatto che confermò Hitler nella convinzione che le potenze occidentali non volessero realmente combatterlo.
Fu Churchill a prendere l'iniziativa, promuovendo dapprima un'incursione navale nel Baltico e in seguito propose di minare le acque territoriali della Norvegia per bloccare l'afflusso di materie prime, soprattutto ferro, all'industria bellica tedesca. Quando il 30 novembre l'Unione Sovietica invase la Finlandia, l'opinione conservatrice sembrò molto più entusiasta all'idea di scendere in campo contro l'URSS che contro la Germania nazista. Churchill tuttavia rimase fermo nel ribadire che la priorità doveva essere data alla sconfitta del nazismo. Il 13 dicembre l'ammiragliato mise a segno un importante successo, quando tre incrociatori agganciarono la corazzata Graf Spee e la costrinsero a ritirarsi nel porto di Montevideo, dove si autoaffondò.
Il consiglio supremo di guerra anglo-francese che si tenne a Parigi il 5 febbraio stabilì di inviare 30 000 uomini in Scandinavia. Quando, lo stesso giorno, fu avvistato in acque territoriali norvegesi il mercantile tedesco Altmark, che si sospettava trasportasse prigionieri del Regno Unito, Churchill ordinò personalmente al comandante del cacciatorpediniere Cossack di abbordare la nave tedesca e liberare i prigionieri. Tuttavia il gabinetto si oppose a minare le acque norvegesi. Hitler, comprendendo la volontà alleata di occupare la Norvegia per tagliare alla Germania l'afflusso di materie prime, predispose l'invasione del Paese. Solo all'inizio di aprile venne deciso di effettuare lo sbarco a Narvik, ma ormai era troppo tardi. Chamberlain aveva proclamato alla Camera che Hitler "aveva perso l'autobus", ma nel giro di poche settimane Danimarca e Norvegia furono occupate dai nazisti. Le proposte strategiche di Churchill furono adottate con mesi di ritardo e l'incertezza del Regno Unito diede modo a Hitler di prevenire i suoi avversari. Il fallimento norvegese condannò definitivamente Chamberlain e spianò a Churchill la strada per Downing Street.
Primo ministro
«Non posso promettervi altro che sangue, fatica, lacrime e sudore. Chiedete, qual è la nostra politica? Rispondo che è condurre la guerra per mare, per terra e nel cielo con tutta la forza e tutto lo spirito battagliero che Dio può infonderci; condurre la guerra contro una tirannide mostruosa che non ha l'eguale nel tetro, miserabile catalogo del crimine umano. [...] Chiedete qual è il nostro scopo? Rispondo con una parola sola: vittoria, vittoria ad ogni costo, vittoria nonostante ogni terrore, vittoria, per quanto la strada possa essere lunga e dura. Senza vittoria infatti non c'è sopravvivenza.»
Nel dibattito che seguì la sconfitta in Norvegia, le forze ostili a Chamberlain in Parlamento, prima di tutto i laburisti, ma anche i liberali guidati da , amico di vecchia data di Churchill, presero la parola. Parlò anche l'anziano Lloyd George, che chiese le dimissioni di Chamberlain. Leopold "Leo" Amery, amico di Churchill sin dai tempi di Harrow e deputato conservatore, citò le celebri parole di Oliver Cromwell: «Siete rimasto seduto troppo a lungo, quale che sia il bene che avete fatto. Andatevene, vi dico, e liberateci dalla vostra presenza. In nome di Dio andatevene!». Churchill tuttavia, in qualità di ministro responsabile, difese il governo, in segno di lealtà verso Chamberlain. Alla votazione che seguì Chamberlain poteva contare su una maggioranza ridotta a soli 81 voti. Quando uscì dall'aula fu sommerso da urla "Vattene! Vattene!". Chamberlain tuttavia non presentò subito le dimissioni. Comunicò a Giorgio VI che intendeva formare un governo di coalizione che comprendesse anche i laburisti. In ogni caso, lui e il re avrebbero voluto che a succedergli fosse Lord Halifax, non Churchill.
Quando la notizia trapelò, il 9 maggio, i deputati conservatori vicini a Churchill mostrarono irritazione. Questi erano guidati dalla potente famiglia Cecil, una delle più influenti del partito e da sempre alleata dei Churchill. Il principale esponente della famiglia, Lord Salisbury, disse: «Nel corso della giornata bisogna nominare Winston Primo ministro.». Quella mattina Halifax, che era considerato il primo in lizza per la successione a Chamberlain, disse a quest'ultimo che non avrebbe potuto accettare l'incarico perché, essendo membro della Camera dei lord, non avrebbe potuto partecipare ai dibattiti ai Comuni. Nel pomeriggio giunse notizia che Clement Attlee aveva negato qualsiasi supporto laburista a un governo Chamberlain. Churchill, inizialmente, fu restio a candidarsi al premierato, sebbene fosse il nome più popolare nel Paese, poiché riteneva, a ragione, di non avere sufficiente supporto dai partiti della coalizione. La sua idea iniziale era quella di assumere il Ministero della Difesa e la carica di Leader della Camera dei comuni in un governo Halifax che, essendo quest'ultimo confinato alla Camera de lord, gli avrebbe conferito il premierato in pectore, analogamente a quanto era avvenuto a William Pitt il Vecchio durante la guerra dei sette anni. Fu invece un suo fedelissimo, Brendan Bracken, a convincerlo a candidarsi e a negoziare con Attlee e i laburisti l'accettazione di Churchill come premier al posto di Halifax.
Chamberlain, d'altro canto, voleva assicurarsi che il nuovo primo ministro avesse l'appoggio di tutti i partiti; in un incontro nel pomeriggio del 9 maggio tra Churchill, Chamberlain, Halifax e , il capogruppo conservatore alla Camera, venne deciso che Chamberlain avrebbe raccomandato Churchill come suo successore. Il primo ministro rassegnò allora le dimissioni e il 10 maggio Giorgio VI, in qualità di monarca costituzionale, chiese a Churchill di formare il governo. Come primo atto Churchill scrisse a Chamberlain per ringraziarlo del suo supporto.
L'ostilità del re e della moglie Elisabetta verso Churchill era dettata dalla sua strettissima amicizia con il precedente sovrano Edoardo VIII e con Wallis Simpson, per la cui causa il neo-primo ministro si era battuto strenuamente. La coppia reale invece detestava Edoardo e la Simpson e nutriva molta stima per Chamberlain e Halifax. Inizialmente, Giorgio VI si oppose veementemente alla nomina di Churchill e la regina scrisse a Chamberlain lettere calorose anche dopo le sue dimissioni, affermando di "rammaricarsi moltissimo" del fatto che non fosse più primo ministro. Tuttavia, Churchill riuscì in breve tempo a conquistarsi la fiducia della famiglia reale e negli anni più duri della guerra Giorgio VI e la regina furono sempre al suo fianco. In particolare la figlia maggiore Elisabetta, futura sovrana, sviluppò una venerazione per Churchill tanto da definirlo "un secondo padre".
Churchill era anche impopolare nell'establishment conservatore, che rimase largamente fedele a Chamberlain; l'ex primo ministro rimase infatti leader del partito fino alla morte nel mese di novembre (per un cancro alla gola). Probabilmente Churchill non avrebbe potuto ottenere la maggioranza in nessuno dei partiti politici della Camera dei Comuni e la Camera dei lord rimase silente quando venne a sapere della sua nomina. Un visitatore americano riferì alla fine del 1940:
«Ovunque andassi a Londra la gente ammirava l'energia (di Churchill), il suo coraggio, la fermezza dei suoi propositi. La gente diceva di non sapere cosa avrebbe potuto fare la Gran Bretagna senza di lui. Era enormemente rispettato. Ma nessuno pensava che sarebbe stato Primo ministro dopo la guerra. Era semplicemente l'uomo giusto nel posto giusto al momento giusto. Il momento era quello di una guerra disperata contro i nemici della Gran Bretagna.»
L'invasione tedesca dei Paesi Bassi, del Belgio e della Francia era già in corso. Il fronte occidentale collassò rapidamente davanti all'urto tedesco, dividendo l'esercito francese dal corpo di spedizione britannico e dirigendosi verso i porti sulla Manica. Churchill si recò più volte a Parigi per spingere gli alleati a un'azione più decisa, ma ormai le truppe naziste puntavano direttamente sulla capitale francese. Il comandante francese Maxime Weygand rifiutò qualsiasi azione concertata con i britannici. Churchill avviò allora le operazioni di evacuazione del corpo di spedizione britannico, che sarebbero culminate con l'operazione Dynamo a Dunkerque.
Contatti con l'Italia
Fu in questa fase, la più disastrosa del conflitto, quando sembrava certo il trionfo del nazifascismo (Mussolini avrebbe dichiarato guerra il 10 giugno), che Halifax, rimasto nel gabinetto di guerra come ministro degli Esteri (insieme a Chamberlain, Ministro senza portafoglio), propose di prendere contatto con Mussolini per mediare una pace tra il Regno Unito e la Germania. A questo scopo, Halifax si incontrò il 25 maggio con l'ambasciatore italiano Giuseppe Bastianini; la proposta prevedeva una mediazione italiana di una pace europea, in cambio di concessioni territoriali all'Italia. Churchill, sebbene non si mostrasse ostile in linea di principio a un approccio verso Mussolini, sostenne che avvicinare il duce avrebbe "compromesso l'integrità della nostra posizione di belligeranza". Churchill, sempre su suggerimento di Halifax, aveva già scritto a Mussolini il 13 maggio dicendo:
«È troppo tardi per impedire che scorra un fiume di sangue tra il popolo inglese e quello italiano? L'Inghilterra andrà avanti fino in fondo, anche da sola, come ci è già accaduto, e ho valide ragioni per ritenere che verremo aiutati in misura crescente dagli Stati Uniti, o meglio da tutta l'America.»
Mussolini oppose uno sprezzante rifiuto all'approccio di Churchill. Quest'ultimo ritenne dunque che non si potesse fare affidamento sul dittatore italiano, ormai chiaramente deciso a legare il suo destino a quello di Hitler. Chamberlain annotò nel suo diario: «Il Primo ministro disapprova ogni contatto con Mussolini». Il 28 maggio si tenne la riunione decisiva del War Cabinet, che Churchill estese a tutti i ministri del governo. Disse:
«Ho attentamente valutato in questi giorni se prendere in considerazione trattative con quell'uomo [Hitler, ndr] rientrasse tra i miei doveri. Ma era insensato pensare che, se avessimo cercato di concludere la pace ora, avremmo ottenuto condizioni migliori di quelle che avremmo ottenuto continuando a combattere. La Germania esigerebbe la nostra flotta, quello che verrebbe definito "disarmo", le nostre basi navali e molto altro ancora. Il nostro diverrebbe uno Stato asservito, anche se verrebbe creato un governo britannico che, sotto Mosley o altri del suo genere, sarebbe un burattino nelle mani di Hitler.»
Non ci arrenderemo mai
La prova di forza di Churchill ebbe successo, grazie anche all'appoggio dei ministri laburisti Attlee e Greenwood. Churchill aveva adesso ricompattato il gabinetto, isolando gli appeasers. Halifax continuerà a rimanere ministro degli Esteri fino al gennaio 1941, quando venne sostituito da Anthony Eden, un fedelissimo di Churchill; otterrà il posto di ambasciatore negli Stati Uniti, formalmente prestigioso ma in realtà marginale, dato che i rapporti fra le due potenze vennero gestiti direttamente da Churchill e dal presidente Roosevelt. Il 3 giugno l'evacuazione da Dunkerque fu completata, portando a termine il salvataggio di oltre 300 000 soldati britannici e francesi. Il giorno seguente pronunciò alla Camera uno dei suoi discorsi più celebri:
«Anche se un gran numero di antichi e famosi Paesi sono caduti o possono cadere nelle grinfie della Gestapo e di tutto l'odioso apparato del dominio nazista, noi non capitoleremo. Andremo avanti fino alla fine. Combatteremo in Francia, combatteremo sui mari e sugli oceani, combatteremo con crescente fiducia e crescente forza nell'aria, difenderemo la nostra isola, qualunque possa essere il costo. Combatteremo sulle spiagge, combatteremo sulle piste d'atterraggio, combatteremo nei campi e nelle strade, combatteremo sulle colline. Non ci arrenderemo mai. E anche se, cosa che non voglio credere neanche per un momento, l'isola o gran parte di essa fosse soggiogata e affamata, il nostro Impero al di là dei mari, armato e sorvegliato dalla flotta britannica, porterebbe avanti la lotta finché, quando sarà il momento, il Nuovo Mondo, con tutto il suo potere e la sua forza, si farà avanti per la salvezza e la liberazione del vecchio»
Il 10 giugno, Churchill si incontrò nuovamente con i comandi francesi, per incitarli alla resistenza a oltranza in Bretagna; "È possibile che i nazisti dominino l'Europa, ma sarà un'Europa in rivolta". Quando seppe che i francesi stavano evacuando Parigi urlò: «All'inferno!». Il presidente del Consiglio Paul Reynaud e Charles de Gaulle erano con Churchill, ma Weygand e Pétain "senile, passivo e disfattista" volevano negoziare la resa. Il ministro dell'Interno francese Georges Mandel definì Churchill "l'energia e la sfida in persona. L'unico raggio di sole sul suolo francese". Un'ultima volta Churchill esortò Reynaud: «Non cedete al nemico! Continuate a combattere!», ma il 16 giugno la Francia capitolò. Il 18 giugno tenne un altro dei suoi discorsi storici, quello sull'"ora più bella":
«Quella che il generale Weygand ha chiamato la battaglia di Francia è finita, la Battaglia d'Inghilterra sta per cominciare. Da questa battaglia dipende la salvezza della civiltà cristiana. Da questa battaglia dipende la nostra stessa vita come britannici, e la sopravvivenza delle nostre istituzioni e del nostro Impero. Tutta la furia e la potenza del nemico si rivolgeranno presto contro di noi. Hitler sa che deve sconfiggerci su quest'isola o perdere la guerra. Se gli resisteremo, tutta l'Europa potrà essere liberata e la vita del mondo intero potrà avanzare verso un futuro radioso. Ma se cadiamo, allora il mondo intero, compresi gli Stati Uniti, compreso tutto ciò che abbiamo conosciuto e amato, affonderà nell'abisso di una cupa Nuova Era resa ancor più sinistra, e forse più lunga, dai lumi di una scienza perversa. Cerchiamo quindi di prepararci ai nostri doveri, e così sostenerci, cosicché se l'Impero britannico e il suo Commonwealth dureranno per mille anni, gli uomini potranno dire ancora: Questa fu la loro ora più bella.»
Ancora il 16 giugno, in una trasmissione radiofonica, ribadì:
«Ci batteremo indomitamente, finché la maledizione di Hitler non sarà spazzata via dal cospetto degli uomini.»
Nel settembre del 1940 Churchill cenò, come sua abitudine, all'Other Club, il cenacolo da lui fondato molti anni addietro e del quale facevano parte le personalità più illustri del Paese. Tra questi anche John Maynard Keynes: nonostante gli occasionali screzi, i due erano molto amici. Scrivendo alla madre Keynes descrisse così il suo incontro con il primo ministro:
«L'altra sera sono stato all'Other Club e sedevo accanto a Winston, così abbiamo conversato per circa tre ore. L'ho trovato in perfetta condizione, sereno e del tutto privo di esaltazione. Probabilmente questo momento è il culmine del suo potere e della sua gloria, ma non ho mai visto nessuno meno infettato da arie dittatoriali.»
Battaglia d'Inghilterra, Nordafrica e Medio Oriente
A metà ottobre del 1940 la battaglia d'Inghilterra raggiunse il suo culmine, mentre le vittime civili britanniche erano salite a circa diecimila persone. Durante una conversazione con un deputato nella sala fumatori della Camera, questi chiese a Churchill di scatenare rappresaglie più dure sulla Germania. Churchill però era ancora di avviso contrario: «Questa è una guerra militare e non civile [...] Noi vogliamo distruggere obiettivi militari tedeschi». Il 20 agosto aveva elogiato i piloti della Royal Air Force con il celebre motto:
«Mai così tanti dovettero così tanto a così pochi.»
Per razionalizzare al massimo lo sforzo bellico, Churchill creò e assunse su di sé la posizione aggiuntiva di ministro della Difesa, il che lo rese il più potente primo ministro di guerra nella storia britannica. Immediatamente nominò il suo amico e confidente, industriale e magnate dell'editoria Lord Beaverbrook, responsabile della produzione aeronautica e nominò il fisico e amico Frederick Lindemann consulente scientifico del governo. L'acume aziendale di Beaverbrook consentì alla Gran Bretagna di sviluppare rapidamente la produzione e l'ingegneria aeronautica, che alla fine fece la differenza nella guerra. Fondamentale fu anche la creazione dello Special Operations Executive (SOE), struttura clandestina dedita al supporto delle resistenze partigiane nei territori dell'Europa occupata, posta sotto il controllo del Ministro della guerra economica, il laburista Hugh Dalton.
L'11 novembre ebbe luogo il primo importante successo militare britannico con l'attacco alla base navale di Taranto, nel corso del quale vennero affondate tre corazzate italiane e il 14 Churchill telegrafò ad Archibald Wavell:« È arrivato il momento di assumerci rischi e colpire gli italiani per terra, cielo e mare». Quella stessa notte ebbe luogo il più pesante bombardamento subito dalla Gran Bretagna fino a quel momento, che colpì la città di Coventry: l'intero centro cittadino e la cattedrale vennero rasi al suolo e le vittime civili furono 568. Nei giorni seguenti vennero nuovamente colpite Londra e Birmingham. Per rappresaglia tra il 16 e il 18 novembre furono bombardate Berlino e Amburgo, con 233 morti totali.
Continuarono invece a giungere buone notizie dal Nordafrica, dove l'offensiva di Wavell travolse le truppe italiane in Libia facendo in poche settimane centinaia di migliaia di prigionieri. L'11 febbraio 1941 Churchill scrisse ai capi di Stato maggiore che intendeva fare della Cirenaica l'"inizio di un'Italia libera" sostenuta dalla Gran Bretagna e con una propria bandiera (analogamente alla France libre di Charles de Gaulle); doveva servire a creare "una vera spaccatura in Italia e favorire la propaganda antimussoliniana". Il progetto era di addestrare 4 000-5 000 soldati italiani "che giurino di liberare l'Italia dal giogo dei tedeschi e di Mussolini".
Per tutto il corso del 1941 proseguirono incessanti i bombardamenti tedeschi sulle città inglesi. La sera del 14 aprile un attacco su Londra uccise più di mille persone. Il 23 aprile la quindicenne principessa Elisabetta scrisse a Churchill: «Temo che ultimamente abbiate passato momenti molto difficili, ma sono certa che presto le cose cominceranno a migliorare». A maggio i bombardamenti tedeschi si intensificarono, anche in considerazione dell'ormai prossimo attacco tedesco all'URSS: Hitler intendeva aumentare la pressione sugli inglesi per indurli alla resa in modo da chiudere il fronte occidentale, per avere mano libera ad est. In questo, che fu il momento più duro per il Regno Unito dopo l'estate, Churchill continuò ad ispirare fiducia:
«Nessun uomo avveduto e previdente può dubitare della sconfitta finale e totale di Hitler e Mussolini, alla luce della comune, dichiarata determinazione delle democrazie inglese e americana. Insieme abbiamo la maggior ricchezza e più risorse tecniche e produciamo più acciaio del resto del mondo messo insieme. Non permetteremo che dittatori criminali calpestino la causa della libertà o arrestino la marcia del progresso del mondo»
In aprile i nazisti avevano invaso in poche settimane la Jugoslavia e la Grecia. Churchill continuò a guidare il suo Paese con mano ferma. Il 7 maggio dichiarò alla Camera dei Comuni:
«Sono certo che non dobbiamo temere la tempesta. Che infuri, che muggisca. Ne usciremo indenni»
Tra aprile e giugno del 1941 la Gran Bretagna e le forze golliste riuscirono a riprendere il controllo del cruciale settore medio-orientale, sconfiggendo rapidamente il governo filotedesco iracheno di Rashid Ali al-Kaylani e occupando in giugno la Siria tenuta dalla Francia di Vichy.
In Nordafrica, dopo l'avanzata di Erwin Rommel fino al confine con l'Egitto, gli italo-tedeschi furono fermati dal maresciallo Montgomery alla seconda battaglia di El Alamein (23 ottobre-3 novembre 1942), che segnò la svolta della campagna in Nordafrica in favore degli Alleati. Il 10 novembre 1942, Churchill, annunciando la vittoria nella campagna d'Egitto alla Mansion House a Londra, pronunciò durante il suo discorso la celebre frase:
«Non è la fine. Non è nemmeno l'inizio della fine. Ma è, forse, la fine dell'inizio»
Grand strategy e guerra tecnologica
Lungo il viaggio sulla corazzata Duke of York, tra il 16 e il 20 dicembre 1941, diretto ad incontrare il Presidente Roosevelt ad Annapolis, Churchill redasse quattro memorandum che definirono la strategia bellica che gli Alleati avrebbero adottato in seguito.
I documenti delineavano la necessità di unire ad un forte sostegno logistico all’Unione Sovietica la cooperazione anglo-americana, imperniata sul controllo delle rotte atlantiche e sulla presa graduale del controllo sulle periferie dell’Asse tramite operazioni anfibie, a partire dal Nordafrica, per giungere all’Italia e solo al culmine all’assalto all’Europa occidentale "non prima del 1943". Prevedeva inoltre che per l’estate del 1942 gli Alleati avrebbero ristabilito la superiorità navale sul Giappone nel settore Pacifico. Con riferimento a quest'ultimo, la politica britannica fu quella di evitare il più a lungo possibile lo scontro con i nipponici, addirittura negando il rifornimento di materiali bellici alle forze nazionaliste di Chiang Kai-shek attraverso la Birmania, affermando: "Siamo a corto di tutto tranne che di nemici". Churchill non fece mai grande affidamento sui cinesi, al contrario di Roosevelt che si adoperò per coinvolgere il gigante asiatico nel suo progetto di nuovo ordine internazionale. Osserva Andrew Roberts:
«Anche se nei memorandum c’erano alcune previsioni erronee […] nel complesso rappresentano un capolavoro di intuizione e lucido pensiero strategico. In alcune delle sue previsioni si scostava solo di un paio di mesi da quando in realtà avvennero i fatti. Si ritiene a ragione che Churchill abbia dimostrato preveggenza riguardo al nazismo negli anni trenta e allo stalinismo negli anni quaranta, ma gli va anche tributato il grande merito di aver tracciato il corso della seconda guerra mondiale con straordinaria precisione. […] Sebbene nei suoi diari Brooke criticasse Churchill, era proprio questo il percorso che voleva adottare verso la vittoria: dal Nordafrica a Tripoli, alla Sicilia, all’Italia continentale, alle spiagge delle coste francesi. Il prosciugamento della forza tedesca in Africa e nel Mediterraneo prima che il grosso delle forze sbarcasse in Normandia era la strategia di Churchill, supportata appieno da Brooke e da tutto lo Stato maggiore generale. Sulle singole operazioni Brooke si opponeva spesso a Churchill, ma sulla grande concezione strategica della guerra in Europa i due concordavano pienamente»
Questa interpretazione, peraltro, opera una netta revisione di una lettura critica consolidatasi presso vari studiosi, ad avviso dei quali Churchill si sarebbe sempre opposto allo sbarco in Normandia fino a quando esso non fu imposto dagli Stati Uniti d'America. Ad avviso di , l’impostazione strategica di Churchill ebbe anche il merito di evitare agli Alleati le carneficine della prima guerra mondiale, che non sarebbero state sopportabili né sul piano militare né su quello dell’opinione pubblica interna. Sotto la guida di Churchill infatti, le perdite britanniche nel secondo conflitto mondiale furono inferiori a quelle della guerra precedente. A.J.P. Taylor sintetizza così il rapporto di Churchill con i vertici militari:
«Churchill, come ministro della Difesa, non fu uno sprovveduto civile che criticava la strategia dal di fuori, come lo era stato Lloyd George. Egli era personalmente un esperto di guerra [...] Era stato un ufficiale dell'esercito in servizio, aveva diretto l'ammiragliato in due guerre mondiali [...] l'unico primo ministro, non escluso Wellington, che abbia indossato l'uniforme militare anche durante il periodo della sua carica. Aveva scritto opere sui grandi comandanti, da Marlborough a Foch. La sua mente abbondava di idee originali, spesso pericolose, ed era in grado di sostenerle con argomenti tecnici. I capi di stato maggiore trovavano difficile resistergli [...] Per la popolazione essi erano dei nomi e nient'altro, sostituibili come lo era chiunque tranne Churchill [...] dovevano opporre alle proposte di Churchill obiezioni di uguale livello tecnico e anche più accuratamente vagliate, cosa ben logorante [...] Tuttavia [...] i capi di stato maggiore ammiravano Churchill e gli erano veramente devoti, anche quando attaccavano con violenza le sue proposte impulsive. Churchill, dal canto suo, si inchinava alle opinioni dei professionisti quando erano espresse con coerenza pari alle sue, condizione che raramente si verificava»
Sin dal 1940 la possibilità di sfruttare la fissione dell’atomo per scopi bellici era stata ritenuta possibile da scienziati tedeschi espatriati nel Regno Unito, come Otto Frisch e Rudolf Peierls. Churchill, da sempre appassionato di scienza e tecnologia, aveva già immaginato nel 1924, dopo i primi esperimenti di Ernest Rutherford, la possibilità di costruire "una bomba grande come un’arancia con la potenza segreta per distruggere un intero blocco di edifici, anzi per concentrare la forza di mille tonnellate di cordite e far esplodere un quartiere in un colpo solo".
Consigliato quindi da un comitato di scienziati presieduto da sir Henry Tizard, che confermò la fattibilità del progetto, nonché dal suo amico e assistente scientifico personale Frederick Lindemann, Churchill autorizzò l’operazione "Tube Alloys" (tubi in lega) per avviare la costruzione dell’arma atomica inglese, la quale avrebbe costituito la base di partenza per il successivo Progetto Manhattan.
Fronte interno, India e guerra sui mari
Le scelte adottate dal governo di Churchill nella gestione dell’economia di guerra e del fronte interno si imperniarono sulla necessità di mantenere il più possibile elevati gli standard di vita e di salario, allo scopo di cementare il senso di comunità tra la popolazione.
A tal fine, soprattutto i dirigenti sindacali e i ministri laburisti, che ebbero un ruolo cruciale in questo settore, vararono il "socialismo di guerra", definito un "socialismo del consenso", del quale furono protagonisti attivi i rappresentanti della classe operaia unitamente agli imprenditori, agli scienziati e al mondo accademico. In questo Churchill proseguì l’esperienza della Prima guerra mondiale, che era stata anche la sua, potenziandola ulteriormente. Il Primo ministro rimaneva comunque il decisore ultimo e l’autorità suprema di coordinamento, almeno fino alla creazione dell’Esecutivo per la produzione nel gennaio 1941, che tuttavia divenne terreno di scontro tra il Ministro del lavoro, il laburista Ernest Bevin, e Lord Beaverbrook, il responsabile della produzione industriale. Quest’ultimo era amico intimo di Churchill, che lo sostenne, almeno fino a quando Beaverbrook non divenne accanitamente filosovietico e cominciò a incalzare Churchill sui suoi giornali per l’apertura del secondo fronte: a quel punto fu costretto a dimettersi.
L’industria dei trasporti e il commercio vennero centralizzati e pianificati, e il razionamento dei beni di prima necessità (cibo e vestiti) fu un successo, poiché riuscì a mantenere lo standard di vita a un livello di poco inferiore a quello del tempo di pace, evitando così di generare malcontento. Furono invece esclusi dal razionamento il carbone e l’energia elettrica, per l’opposizione dei conservatori liberisti e dei liberali. I consumi calarono solo del 14 per cento, il pareggio di bilancio fiscale venne abbandonato in favore del calcolo del deficit sul prodotto interno lordo, mentre l’inflazione fu tenuta sotto controllo grazie ad un aumento moderato della tassazione sulla ricchezza mobile e ai risparmi volontari della popolazione. Il principale artefice della politica economica del governo britannico fu Keynes, chiamato personalmente da Churchill a collaborare con il cancelliere dello Scacchiere Kingsley Wood. La manodopera fu invece gestita da Bevin, ex sindacalista, che ottenne notevoli successi nel concertare le relazioni industriali: i salari vennero adeguati al costo della vita, aumentando del 18 per cento, il che fu fondamentale nel creare un vasto consenso allo sforzo bellico tra i lavoratori, mentre le carenze vennero compensate dalla massiccia immissione di donne tramite una vera e propria coscrizione femminile.
I risultati furono che, caso unico tra le potenze europee durante la Seconda guerra mondiale, i britannici si arricchirono mediamente durante il conflitto:
«Mentre il costo reale della vita era aumentato nel 1942 del 43% rispetto al 1938, i guadagni settimanali medi erano superiori del 65% e la sproporzione aumentò in seguito: nel 1944 il costo della vita era superiore del 50% a quello del 1938, e i guadagni settimanali erano superiori dell’81.50%. Genericamente parlando, tutta la popolazione si assestò al livello dell’artigiano specializzato. Questo rappresentava un passo indietro per le classi più agiate […] Ma, per le masse, era una sicurezza che non avevano mai conosciuta prima»
Fondamentale per sostenere lo sforzo bellico britannico fu poi la legge "Affitti e prestiti", approvata l’11 marzo 1941 dal Congresso degli Stati Uniti (Lend-Lease Act). Con tale provvedimento le industrie americane erano autorizzate a fornire prodotti senza pagamento in contanti, anche se per avere accesso al credito il governo britannico dovette esaurire le sue riserve in dollari, e in un secondo momento anche una parte di quelle in oro. Come disse Keynes: "Abbiamo gettato al vento la buona amministrazione domestica. Ma ci siamo salvati, e abbiamo contribuito alla salvezza del mondo". Gli Stati Uniti avevano bisogno di mettere sul mercato la propria sovrapproduzione: con la legge Affitti e Prestiti, il Regno Unito divenne invece un importatore netto di materie prime e prodotti finiti, ma poté rivolgere l’intera produzione interna alla guerra e riarmare un nuovo esercito dopo il disastro di Dunkerque. Nel medesimo periodo Churchill proclamò anche la battaglia dell’Atlantico, allo scopo di neutralizzare la minaccia al collegamento logistico e alle importazioni dal Nordamerica, che fu vinta a partire dall’autunno del 1941, grazie soprattutto alle decrittazioni Ultra e al sistema dei convogli.
La buona gestione del fronte interno e dell’economia di guerra non risparmiò Churchill dalle fronde parlamentari. Una questione cruciale continuò ad essere quella indiana, anche per i malumori dei progressisti vicini a Roosevelt: Churchill colse l’occasione per allontanare dal Paese Stafford Cripps, laburista di sinistra e a lungo suo avversario, naturalmente vicino al partito del Congresso. Cripps giunse in India nel marzo del 1942, con la promessa di concedere l’indipendenza dopo la guerra se lo avesse richiesto un’assemblea costituente, in cambio dell’appoggio del Congresso allo sforzo bellico. Gli indipendentisti si spaccarono: Nehru era disposto a sostenere il conflitto a patto di un autogoverno immediato, mentre Gandhi avrebbe preferito la disobbedienza civile in caso di invasione giapponese. Cripps tornò a Londra senza aver ottenuto nulla, ma gli inglesi non abbandonarono l’Estremo oriente e i capi del Congresso furono imprigionati per il resto della guerra. Come osserva A.J.P. Taylor:
«Gli inglesi insisterono per difendere l’India contro la volontà dei suoi capi politici, e pagarono per il privilegio di farlo. Tutto il costo della guerra in India fu a carico della Gran Bretagna con la conseguenza di un debito di un milione di sterline al giorno […] sostanzialmente, la difesa dell’India derivò dall’abitudine. Come nel Mediterraneo, gli inglesi rimasero in India perché vi si trovavano già, e continuarono a comportarsi come una potenza imperialistica, sebbene avessero già annunciato che questo modo di agire sarebbe stato abbandonato. Nulla di diverso ci si poteva aspettare da Churchill, ma i dirigenti laburisti, compreso Cripps, risposero anch’essi all’ultimo appello del Raj»
La situazione si aggravò a causa dei rovesci militari: Churchill aveva sempre dato la priorità strategica al Medio Oriente e al fronte euro-atlantico, nevralgici per la sicurezza domestica del Regno Unito. Rimase tuttavia legato alla dimensione imperiale del suo Paese e alle necessità militari che da essa derivavano: in risposta all’avanzata giapponese nel Pacifico occidentale e alle preoccupazioni australiane, inviò la corazzata Prince of Wales e l’incrociatore Repulse, che furono affondate dai giapponesi il 10 dicembre 1941. Nel maggio di quell’anno fu comunque colto un importante successo nell’Atlantico, con l’affondamento della corazzata tedesca Bismarck, ammiraglia della flotta germanica. Il successivo periodo da febbraio a novembre 1942 fu il peggiore di tutta la guerra per Churchill: quell’anno avvenne la caduta di Singapore e nell’estate le truppe dell’Asse riconquistarono Tobruk. A proposito di questi episodi, osserva Taylor:
«La depressione era esagerata; la potenza navale britannica non era mai stata una realtà in Estremo Oriente, nel ventesimo secolo; gli inglesi avevano contato dapprima sull’alleanza col Giappone, poi in una vaga speranza che, se le cose fossero andate male, il grosso della flotta avrebbe fatto in tempo a raggiungere in qualche modo Singapore[…]nel cercare di rimanere una potenza mondiale in tutte le sfere, il popolo britannico, o comunque il governo, aveva preteso qualcosa di superiore alle proprie forze. Tuttavia, la caduta di Singapore sarebbe stata la definitiva rovina per chiunque avesse avuto una statura minore (di Churchill)»
Infatti, egli contrattaccò subito ai malumori montanti. La caduta di Tobruk coalizzò una fronda che univa i conservatori scontenti e i laburisti filo-sovietici: i primi non avevano mai amato Churchill e tentavano ancora la strada dell’accordo con Hitler, i secondi premevano per allentare i legami con gli Stati Uniti e aprire subito il secondo fronte richiesto da Stalin. Il deputato conservatore presentò una mozione di sfiducia proponendo come comandante supremo il duca di Gloucester, fratello del re; la Camera dei Comuni scoppiò in una risata e Churchill, saldamente sostenuto dall’apparato di partito, vinse comodamente il dibattito con 476 voti a 25. Infine, nel gennaio 1943, dopo El Alamein e dopo aver incassato il sostegno di Roosevelt allo sbarco in Nordafrica, forzò un voto di fiducia che vinse con 464 voti contro 1. Le schermaglie parlamentari si erano chiuse con un trionfo personale del premier. Conclude Taylor: "Quali che fossero gli errori di Churchill, non c’era nessuno migliore di lui da mettere al suo posto".
Relazioni con la Francia
Dopo l'armistizio, il governo della Francia venne assunto dal maresciallo Pétain. Questi, assunti i pieni poteri, concluse l'armistizio e divenne successivamente capo del regime collaborazionista di Vichy. Churchill sostenne immediatamente il generale de Gaulle il quale, dalle stazioni londinesi della BBC, lanciò il famoso appello del 18 giugno:
«Qualunque cosa accada, la fiamma della resistenza francese non si dovrà spegnere e non si spegnerà»
Il punto più basso dei rapporti tra i due Paesi fu toccato pochi giorni dopo l'armistizio, quando Churchill ordinò alla flotta britannica di impedire che la flotta francese cadesse in mano tedesca. In particolare, il grosso della flotta francese nel Mediterraneo si trovava a Mers-el-Kébir, in Algeria. Furono inviati a parlamentare lord Lloyd e l'ammiraglio Thomas Phillips, ponendo ai francesi l'alternativa tra la smobilitazione della flotta o l'affondamento. Dopo che i francesi rifiutarono, su ordine di Churchill, l'ammiraglio James Somerville aprì il fuoco, affondando la corazzata Bretagne, saltata per aria al suo ormeggio, e danneggiando altre navi; 1.200 marinai francesi persero la vita. Churchill definì la decisione "la più penosa della mia vita".
Le relazioni tra Churchill e de Gaulle, sebbene tempestose a causa del forte carattere di entrambi, furono sempre improntate a una sostanziale stima reciproca. Churchill era sempre stato un accanito francofilo, grande ammiratore di Napoleone e nel 1940 definì de Gaulle "il connestabile di Francia". De Gaulle, nelle sue memorie, scrisse: "Io, naufrago sbarcato nella desolazione sulle coste d'Inghilterra, che avrei potuto fare senza il suo aiuto?". Nel 1940 Churchill, insieme a Jean Monnet, aveva proposto un progetto di Unione franco-britannica per contrastare la Germania. La proposta, accettata da de Gaulle ma rifiutata da tutto il governo francese, non ebbe seguito. Scrive :
«Churchill comprendeva de Gaulle e lo rispettava.; per quanto riguardava le loro concezioni della storia (e anche della natura umana), Churchill e de Gaulle, due leader nazionali di destra, avevano molto più in comune di Churchill e Roosevelt. [...] Nel 1940, i più sinceri oppositori dell'hitlerismo non furono uomini della sinistra, ma della destra: Churchill e de Gaulle»
Il ruolo di Churchill fu poi cruciale nel sostenere alla conferenza di Jalta, contro le resistenze soprattutto americane, il ruolo della Francia di de Gaulle tra i vincitori della guerra. Fu lui a imporre l'assegnazione di un seggio permanente francese al consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Questo anche allo scopo di avere a fianco della Gran Bretagna un'altra potenza europea, per bilanciare le superpotenze di Stati Uniti e Unione Sovietica. Inoltre, una Francia militarmente forte era essenziale, nella tattica britannica già di inizio secolo, per allontanare la prima linea di difesa in caso di attacco tedesco. Accanto al calcolo politico vi era però anche un sincero sentimento d'affetto per la Francia e il suo popolo, che Churchill coltivò sempre, anche contro un establishment britannico tradizionalmente francofobo. Egli apparteneva infatti a una generazione di inglesi aristocratici e patrizi che, giunta alla maturità nell'Età edoardiana, fu, di tutte le generazioni britanniche, quella più vicina alla Francia, essendo stata artefice della svolta storica nelle relazioni tra i due Paesi che condusse all'Entente cordiale.
Quando Churchill morì, nel 1965 de Gaulle scrisse alla figlia Mary:
«Nella grande tempesta fu il più grande»
Relazioni con gli Stati Uniti d'America
Churchill e il presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt svilupparono nel corso della guerra una forte amicizia personale, nonostante la moglie del presidente, Eleanor, che aveva molta influenza sul marito, non avesse troppa simpatia per lui, giudicandolo troppo reazionario. Anche l'ambasciatore Joseph P. Kennedy si dimostrò ostile a Churchill, ma questi riuscì abilmente a scavalcarlo instaurando da subito un filo diretto con il presidente. Churchill negli anni precedenti alla guerra aveva dato alterni giudizi sulla politica statunitense. Generalmente la sua simpatia andava ai democratici, perché all'interno del Partito repubblicano si annidavano forti correnti anti-britanniche e isolazioniste.
Churchill e Roosevelt si erano incontrati una prima volta nel 1919 quando Roosevelt era viceministro della Marina. Già a partire dal 1940, Roosevelt, nonostante la neutralità formale degli Stati Uniti d'America, cominciò a scambiare corrispondenza con Churchill. In tale occasione Churchill mise subito in guardia Roosevelt, nel momento più cupo del conflitto, che in caso di resa la flotta britannica avrebbe potuto passare sotto controllo tedesco, alterando così in maniera decisiva gli equilibri navali e mettendo a rischio la sicurezza statunitense. In sostanza, l'aiuto statunitense al Regno Unito, fondamentale per sostenerne lo sforzo bellico, fu reso possibile dalla convinzione di Roosevelt e del suo entourage (importante fu anche il ruolo del diplomatico Averell Harriman), che sostenere il Regno Unito e, in seguito, scendere in campo direttamente per sconfiggere le ambizioni egemoniche naziste, fosse essenziale per garantire la sicurezza internazionale degli Stati Uniti d'America. Churchill fu molto abile a sostenere queste convinzioni, ottenendo così l'imprescindibile sostegno statunitense.
Le relazioni tra Churchill e il Paese natio della madre furono complesse e variegate, influenzate sia dalle origini familiari sia dai mutamenti del pensiero dello statista. Dalla madre Churchill ereditò una fondamentale ammirazione per la nazione nordamericana, una romantica visione dei legami di sangue e di civiltà che legavano i due popoli, eredità del di fine Ottocento, dalla quale non si distaccherà mai. Dopo la prima guerra mondiale cominciò tuttavia a provare diffidenza per gli Stati Uniti, nei quali vedeva, sotto la maschera dell'umanitarismo wilsoniano, una volontà di rimpiazzare l'Impero britannico. Tale sentimento raggiunse il suo culmine negli anni '20, durante l'incarico allo Scacchiere, quando Churchill si fece una fama di anti-americano, tanto che la moglie Clementine gli disse che era considerato "troppo ostile all'America" e che ciò gli avrebbe impedito di diventare ministro degli Esteri. L'opinione mutò in occasione di un lungo viaggio negli Stati Uniti nel corso del 1929-1930: in quel momento Churchill maturò la convinzione che gli Stati Uniti fossero la potenza del futuro, dotati di capacità economiche e, in prospettiva, geopolitiche tali da annullare la competizione di qualsiasi attore europeo. Da ciò derivò l'impostazione strategica atlantica che sarà alla base dalla politica churchilliana per tutta la vita politica seguente dello statista: data la identica natura di potenza talassocratica e la comunanza di civiltà sussistente tra Gran Bretagna e Nordamerica, i due poli mantenevano una fondamentale condivisione di interessi geopolitici, consistenti nel controllo delle rotte marittime e nella prevenzione del dominio delle masse continentali da parte di potenze egemoni. Data tale condivisione, la Gran Bretagna avrebbe potuto preservare un ruolo di potenza solo mantenendosi legata agli Stati Uniti. Su tali valutazioni influì anche un mutamento della visione dell'impero da parte di Churchill: consapevole del declino britannico, ma altrettanto consapevole della necessità di non poter venir meno agli imperativi geopolitici della Gran Bretagna, egli vedeva la soluzione nella creazione di un "condominio" globale, con il riconoscimento di una primazia americana nei mari asiatici e un ritiro dell'Impero britannico nell'area euro-mediterranea.
In questo senso Churchill fu il padre, teorico e pratico, dell'atlantismo. La lucida esposizione di tale impostazione si ritrova per la prima volta in una conversazione che egli ebbe nel 1938 con il giornalista americano Walter Lippmann, in occasione di una cena offerta da comuni amici, il deputato Harold Nicolson e sua moglie Vita Sackville-West. Durante la serata Lippmann riferì a Churchill i commenti anti-britannici dell'ambasciatore statunitense Joseph P. Kennedy, il quale aveva profetizzato la sicura sconfitta della Gran Bretagna in caso di prossima guerra contro la Germania. Churchill ribatté:
«L'ambasciatore non avrebbe dovuto parlare così, Mr. Lippmann. Ma supponendo, cosa che io non faccio nemmeno per un momento, che Mr. Kennedy abbia ragione nella sua tragica previsione, allora io per primo darei volentieri la vita in battaglia, piuttosto che, per paura della sconfitta, arrendermi alle minacce di quegli uomini sinistri. Poi starà a voi, agli americani, difendere e conservare la grande eredità dei popoli di lingua inglese. Starà a voi pensare in termini di Impero, pensare, cioè, a qualcosa di più elevato e di più vasto dei propri interessi nazionali»
Il 26 dicembre 1941, poco dopo l'entrata in guerra degli Stati Uniti d'America, Churchill tenne un discorso alle camere riunite del Congresso, nel quale rimarcò le sue origini statunitensi:
«Vorrei che mia madre, della quale conservo preziosa memoria, fosse qui per vedere. Non posso fare a meno di pensare che se mio padre fosse stato statunitense e mia madre inglese, invece del contrario, ora potrei stare qui per mio conto»
Dall'inizio del conflitto e fino al 1943 Churchill dettò di fatto la strategia alleata. Dalla legge affitti e prestiti alla sottoscrizione della Carta Atlantica nel 1941, alla linea detta Germany first, concordata alla conferenza Arcadia, volta a dare appunto la priorità strategica alla sconfitta tedesca, fino all'operazione Husky e all'apertura del fronte italiano (1943), fu Churchill a imporre agli americani la condotta bellica. In seguito, a partire soprattutto dalla conferenza di Teheran, divenne chiaro che il Regno Unito era diventato socio di minoranza dell'alleanza, dovendo accodarsi alle decisioni statunitensi. Tuttavia, la tattica churchilliana riuscì nel complesso a salvaguardare il ruolo e gli interessi della Gran Bretagna nello scenario post-bellico, pur su scala ridotta. Come ha sottolineato il generale italiano Fabio Mini:
«La Carta atlantica dell'agosto del 1941 [...] riprende l'essenza dei 14 punti di Wilson, ma è concordata su una bozza di Churchill ed è un successo della politica britannica. [...] Gli stessi accordi economici di Bretton Woods (1944) sono un compromesso che favorisce gli Stati Uniti, ma che non penalizza certamente il sistema capitalistico e monetario della City.»
A proposito della Carta Atlantica, A.J.P. Taylor ne valuta l'importanza esclusivamente sul piano simbolico:
«Egli (Roosevelt), voleva un'altisonante dichiarazione di principio; gli inglesi ne avevano un abbozzo già pronto e Roosevelt lo ratificò, dopo avervi inserito un innocuo attacco agli accordi di Ottawa e alla Preferenza imperiale. Tale fu la Carta Atlantica [...] Forse fu un gesto di un certo valore che la Gran Bretagna belligerante e gli Stati Uniti si fossero uniti in una dichiarazione, per quanto innocua. Altrimenti, la Carta Atlantica lasciò poche tracce. Se ne fece ben poco conto nelle discussioni sulla politica postbellica»
Con la Carta Atlantica i britannici ottennero dagli Stati Uniti l'impegno a scendere in campo al loro fianco, anche se ciò avvenne effettivamente solo dopo l'attacco di Pearl Harbor: fu il coronamento della tenace linea churchilliana, perseguita anche con il supporto di strutture di intelligence da lui personalmente supervisionate, come il diretto da (dove si formarono anche i primi agenti della futura CIA). In cambio, i britannici avevano dovuto cedere l'uso di alcune basi navali a Terranova, sebbene si trattasse di una presenza militare da tempo simbolica, in quanto il Regno Unito aveva abbandonato ogni ambizione imperiale nell'Emisfero occidentale già a fine XIX secolo. Oltretutto, Churchill riuscì a impedire che i principi della Carta si applicassero ai popoli coloniali, con la sostanziale accondiscendenza di Roosevelt, il quale non intendeva scontrarsi con il premier britannico su questo tema.
Sul piano più concreto, la prospettiva rooseveltiana divergeva, ma solo in parte, da quella di Churchill, per quanto riguardava l'assetto dell'Europa:
«I piani di Roosevelt puntavano su un ridimensionamento geopolitico del Vecchio Continente [...] Per quanto riguarda la sistemazione post-bellica dell'Europa, egli immaginò la nascita di piccoli Stati, meglio se etnicamente omogenei e militarmente deboli [...] Il sistema sarebbe stato sottoposto al controllo degli inglesi e dei sovietici, mentre agli americani sarebbe toccato l'onere dell'intervento solo in caso di emergenza»
Quest'impostazione costituì un punto di accordo tra Roosevelt e Churchill: grazie ad esso il secondo riuscì a trarre dalla propria parte il primo sulla pianificazione militare del conflitto e il condominio anglo-sovietico sul continente europeo era stato immaginato da Churchill sin dagli anni '30.
Le maggiori divergenze politiche tra i due leader emersero però proprio riguardo all'URSS. Churchill avrebbe voluto un approccio molto più assertivo degli occidentali verso Stalin, soprattutto per tutelare l'indipendenza di nazioni come la Polonia, il cui governo in esilio si trovava a Londra. Roosevelt invece, e come lui Eisenhower, non avevano interesse nell'Europa orientale, ritenevano che l'opinione pubblica statunitense non avrebbe accettato la permanenza in Europa di forti contingenti militari dopo la fine della guerra. Anche la decisione di sbarcare sulle coste francesi, pur prevista da Churchill nella sua "grand strategy", fu principalmente statunitense, mentre i britannici avrebbero preferito un'operazione nei Balcani, per tagliare ai sovietici l'accesso all'area danubiana e all'Europa centrale. In questo Churchill rimase fedele alla geopolitica mackinderiana già sposata ai tempi dell'intervento contro la Rivoluzione d'ottobre, che aveva posto come perno della potenza il centro dell’Eurasia e l’Europa orientale.
Al contrario, Roosevelt immaginava un accordo permanente con i sovietici, convinto che l'esperienza della guerra avrebbe portato il regime di Stalin ad una normalizzazione economico-istituzionale. Churchill invece non credette mai ad un'evoluzione filo-occidentale dell'URSS, mostrando una preveggenza che gli viene riconosciuta anche dalla storiografia più critica; altra parte degli studiosi ritiene che egli cercò invece di raggiungere, anche autonomamente, un accordo pragmatico con i sovietici sull'assetto geopolitico del Continente, basato sul riconoscimento reciproco di sfere di influenza territoriali. Come sottolineato da Henry Kissinger, Churchill fu più lungimirante di Roosevelt, perché sapeva guardare oltre il fronte, in prospettiva geopolitica e non di mero vantaggio militare (su questo punto l'analisi di Taylor, che giudicava la strategia balcanica un'invenzione postuma di Churchill in ottica di guerra fredda, è stata superata). Dopo il 1943, gli americani cedettero ai britannici la responsabilità di un settore mediterraneo indebolito: i comandanti che si susseguirono, Sir Henry Maitland Wilson e Harold Alexander lanciarono una grande offensiva lungo la Linea Gotica nell'autunno del 1944, con l'obiettivo di raggiungere i Balcani. L'iniziativa, però, fallì a causa dello spostamento di numerose truppe statunitensi sul fronte francese.
Fu quindi principalmente Churchill a farsi assertore di un ruolo imperiale degli Stati Uniti che la classe dirigente statunitense fece proprio solo con l'avvento di Harry Truman, con il quale l'intesa strategica fu molto più solida che non con Roosevelt.
Sviluppando il tema imperiale lungo la prospettiva maturata sin dagli anni '30, Churchill rimase quindi un assertore convinto del ruolo guida che le potenze anglosassoni avrebbero dovuto svolgere nell'ordine mondiale post-bellico. Come scrisse a Roosevelt già nel 1940: «Se vinceremo la guerra, dovremo assumerci la grave responsabilità di un nuovo ordine mondiale». L'idea trovò compiuta formulazione in un discorso che Churchill tenne all'Università di Harvard nel 1943, nel quale pose l'accento sull'importanza della lingua come elemento di unione tra i popoli di lingua inglese e come fattore egemonico:
«Non potrebbe anche essere di vantaggio per molte razze e un aiuto per costruire nuove strutture per il mantenimento della pace? Questo offre molti vantaggi rispetto al conquistare terre o province da altri popoli [...] Gli imperi del futuro saranno gli imperi della mente»
Churchill era anche consapevole che l'ascesa degli Stati Uniti avrebbe significato il declino degli imperi coloniali europei. Roosevelt e il suo entourage consideravano infatti l'Impero britannico un anacronismo, che solo la volontà di Churchill riusciva a tenere ancora insieme, mentre puntavano su un ruolo molto più attivo degli inglesi in Europa, il che coincideva con i disegni di Churchill, anche se egli si batté per salvare almeno in parte l'Impero. In ogni caso, fu sempre convinto che i legami culturali ed etnici fra i popoli anglofoni fossero talmente stretti da consentire un passaggio indolore della potenza imperiale da Londra a Washington. Nel discorso di Harvard Churchill prefigurò l'essenza dell'impero statunitense, erede di quello britannico, incentrata sul "soft power" linguistico e sulla globalizzazione degli scambi, cinquant'anni prima che questa si realizzasse.
Relazioni con L'Unione Sovietica
Quando i tedeschi invasero l'Unione Sovietica, Winston Churchill, veemente anti-comunista, subordinò il suo odio verso il comunismo a quello verso Hitler, un sentimento che emerse quando affermò che «se Hitler invadesse l'inferno, farei almeno un riferimento favorevole al diavolo alla Camera dei Comuni». Di conseguenza, rifornimenti e carri armati britannici furono inviati in aiuto dell'Unione Sovietica.
La decisione di Churchill di sostenere l'Unione Sovietica aggredita dalla Germania nazista, nonostante il suo noto anticomunismo, deriva da varie ragioni: innanzitutto dalla necessità tattica di evitare che la Russia con le sue risorse cadesse in mano tedesca: ciò avrebbe compromesso definitivamente le sorti della guerra. Churchill era consapevole che se Hitler avesse aperto il secondo fronte ad Est avrebbe segnato l'inizio della sua fine, come era già accaduto a Napoleone. Allo stesso modo in cui Lord Castlereagh, suo antenato, aveva sostenuto la Russia zarista in guerra contro la Francia napoleonica, Churchill sostenne la Russia sovietica in guerra contro la Germania nazista. Vi era però anche un'altra ragione, derivata dal rapporto personale tra Churchill e Stalin: l'inglese considerava Stalin non un ideologo rivoluzionario (come Trockij, da lui disprezzato sin dagli anni '20), ma un leader nazionale russo, che durante la frequentazione negli anni della guerra imparò ad apprezzare, se non altro per la leadership dimostrata durante il conflitto, un apprezzamento personale che non svanì nemmeno durante gli anni della guerra fredda. Churchill non cessò mai di osteggiare l'ideologia comunista, nondimeno, stimò in Stalin il patriota e lo statista. Curiosamente, la valutazione data da Churchill di Stalin coincideva alla perfezione con quella data da Hitler. Questa valutazione cominciò a palesarsi già nel 1939, quando disse a Neville Chamberlain:
«Non so farvi una previsione sul comportamento della Russia. La Russia è un rebus avvolto in un mistero che sta dentro un enigma. Ma forse una chiave c'è: la chiave è l'interesse nazionale russo»
Nel 1917, nell'immediatezza della Rivoluzione d'ottobre, aveva espresso in una nota per il gabinetto un concetto simile, in contrasto con il duro anticomunismo degli anni successivi:
«Sostanzialmente l'intelletto russo, anche quello bolscevico, qualunque cosa accada sul lungo periodo dev'essere ostile al militarismo prussiano e pertanto avvicinarsi alle democrazie parlamentari degli Alleati»
Il 14 luglio 1940, ragionando sulla situazione strategica del momento, intuì con lucidità assoluta i futuri sviluppi del conflitto:
«Churchill riteneva che Hitler si sarebbe diretto contro l'URSS già molto prima che le decrittazioni Ultra cominciassero ad alludervi[...]Riflettendo sulla situazione strategica della Gran Bretagna, disse: "Hitler deve invadere o fallire. Se fallisce è obbligato ad andare a est, e fallirà"»
Churchill, grazie alla sua profonda conoscenza della storia europea, in parte dovuta al fatto che tale storia spesso aveva coinciso con quella della sua stessa famiglia, aveva ben presenti le costrizioni geopolitiche che imponevano agli Stati determinati atteggiamenti strategici. Sapeva che gli Stati Uniti non avrebbero potuto accettare il dominio tedesco sulla massa eurasiatica, che avrebbe potuto porre un pericolo alla libertà dei mari e dunque alla sicurezza del continente americano. Allo stesso modo, sapeva che le ambizioni egemoniche tedesche sull'Europa orientale avrebbero reso inevitabile lo scontro tra URSS e Germania, nonostante la momentanea alleanza tattica, portando la seconda alla sconfitta. La miccia che accese la conflagrazione russo-tedesca venne dal rovesciamento del governo iugoslavo del reggente Paolo Karađorđević, che aveva aderito al Patto Tripartito, sostituito dal nipote Pietro II, evento che condusse all'invasione della Jugoslavia da parte dell'Asse. Il colpo di Stato era stato orchestrato con l'appoggio dell'intelligence britannica, al fine di far saltare l'intesa tra le due potenze nel centro nevralgico in cui i loro interessi strategici divergevano (i Balcani).
La scelta decisiva di non cedere nel 1940, nonostante l'apparente isolamento della Gran Bretagna, si basava dunque sulla previsione di uno sviluppo degli eventi bellici che, sul medio-lungo periodo, avrebbe favorito il Regno Unito. Commenta :
«Churchill vedeva chiaramente quale fosse la scelta: o un'Europa tutta dominata da Hitler o, nella peggiore delle ipotesi, la metà orientale dell'Europa dominata dall'Unione Sovietica; e metà dell'Europa era meglio di niente.»
Affare Hess
Il 10 maggio 1941, in Scozia precipitò un velivolo che aveva trasportato il gerarca nazista Rudolf Hess, fedelissimo di Hitler, che si era paracadutato poco prima. Hess era giunto in Gran Bretagna per avviare colloqui segreti di pace con membri dell'aristocrazia ritenuti vicini alla famiglia reale, in particolare il duca di Hamilton, proprio in vista dell'imminente avvio dell'Operazione Barbarossa (l'invasione tedesca dell'Unione Sovietica). Sia le impressioni di coloro che furono all'epoca coinvolti nell'operazione, sia ricostruzioni storiche moderne hanno avvalorato l'ipotesi che il volo di Hess fosse il risultato di una ben congegnata trappola ordinata dai servizi segreti britannici (MI6) su incarico di Churchill.
Già subito dopo la fine della guerra, Karl Haushofer, il teorico della geopolitica amico di Hess e ritenuto l'ispiratore della missione, interrogato dai servizi segreti americani, disse: «Sospetto che le lettere vennero intercettate dai servizi segreti inglesi, i quali devono aver scritto le risposte che indussero Hess a volare in Inghilterra». Di uguale parere il presidente ceco Edvard Beneš, che richiese ai suoi servizi un'inchiesta e concluse che il Secret Service britannico "aveva preparato tutto". Nel luglio 1941, pochi mesi dopo la cattura di Hess, anche Walter Schellenberg, vice-comandante della Gestapo, scrisse un rapporto a Hitler nel quale affermava che "Hess è stato indotto alla sua decisione attraverso l'azione sistematica del Secret Service inglese e dei suoi complici tedeschi".
L'operazione fu elaborata da Churchill essenzialmente allo scopo di sgominare il "partito aristocratico della pace" (quei settori dell'aristocrazia britannica simpatizzanti del nazismo), forzandone l'uscita allo scoperto e poi neutralizzandolo con la cattura di Hess. Churchill era a conoscenza del fatto che Hitler aveva già dato disposizioni per preparare l'operazione Barbarossa nell'ottobre del 1940, nel pieno della battaglia d'Inghilterra. Allo stesso tempo però Stalin fu sempre estremamente diffidente verso gli occidentali e non si mosse fino a quando l'invasione non ebbe inizio. Inoltre il dittatore sovietico venne a conoscenza, dagli agenti infiltrati nei servizi britannici, che la missione di Hess era fallita e che dunque Hitler non aveva chiuso il fronte occidentale; logicamente, presumeva di non essere attaccato. Hitler invece attaccò per dimostrare le sue credenziali di crociato anticomunista ai settori più reazionari dell'élite britannica, che sperava rovesciassero Churchill, magari con la complicità del re, e instaurassero un governo filo-nazista. Inoltre, dato il suo disprezzo razzista verso gli slavi, Hitler riteneva di liquidare in poche settimane l'Unione Sovietica, togliendo così definitivamente il possibile alleato orientale ai britannici e costringendo Churchill alla resa.
Il premier britannico, consapevole di questo rischio, attirò Hess in una trappola per ridurre all'impotenza i circoli aristocratici filo-hitleriani e ricompattare la classe dirigente britannica in vista della discesa in campo al fianco dell'URSS, come già nel 1940. Inoltre, la cattura di Hess serviva anche a dimostrare la buona fede e la sincera volontà combattiva della Gran Bretagna al sospettoso Stalin, anche se Churchill mantenne un grande riserbo sull'intera vicenda, probabilmente allo scopo di proteggere quei gruppi aristocratici, che sfioravano la stessa famiglia reale, ai quali rimaneva comunque legato. Churchill riuscì ad acquietare i dubbi di Stalin durante un incontro nel corso della Conferenza di Mosca nel 1942.
Churchill e Stalin
Dopo che l'invasione nazista cominciò Stalin, che aveva costantemente ignorato gli avvertimenti provenienti dallo stesso Churchill circa l'imminenza dell'attacco, cominciò a richiedere sempre più insistentemente l'aiuto britannico. Immediatamente Churchill e Stalin decisero l'invasione anglo-sovietica dell'Iran nel 1941, allo scopo di neutralizzare il governo filotedesco dello scià Reza Shah Pahlavi. Nel dicembre, una settimana dopo Pearl Harbor, Churchill inviò Anthony Eden a Mosca, dove Stalin volle imporre ai britannici di riconoscere le annessioni sovietiche intervenute in seguito al patto Molotov-Ribbentrop (cioè Paesi baltici e Polonia orientale). Eden evitò impegni scritti, ma erano ormai chiari gli obiettivi di guerra sovietici. Churchill chiarì peraltro al capo del governo polacco in esilio Władysław Sikorski: "Se la Russia venisse a patti con il Reich, tutto sarebbe perduto. Questo non deve accadere".
I contrasti emersi non impedirono comunque di giungere finalmente ad una , con la quale le due parti si impegnarono a combattere fino alla sconfitta totale della Germania nazista e a non stipulare paci separate con il nemico comune, oltre a concordare varie clausole di assistenza economica. I profili territoriali vennero invece esclusi per volontà inglese, e formeranno parte di accordi separati successivi.
Churchill e Stalin ebbero due incontri a due a due, nel 1942 e nel 1944. Nel primo, Churchill riuscì con successo a difendere la sua decisione di non aprire un secondo fronte in quell'anno. Stalin restò impressionato dalla determinazione di Churchill e quest'ultimo fu allo stesso tempo colpito dalla tempra del leader sovietico. Nel corso dell'anno seguente, quando le ambizioni egemoniche russe sull'Europa orientale divennero evidenti, il rapporto cominciò a deteriorarsi, anche in concomitanza con il ruolo sempre più preponderante assunto dagli Stati Uniti sulla Gran Bretagna, e l'atteggiamento di Roosevelt verso Stalin si dimostrò più accomodante di quello di Churchill. Quest'ultimo si batté soprattutto sul tema polacco, dato anche il gran numero di volontari di quel Paese che avevano trovato rifugio nel Regno Unito e combattevano negli eserciti dell'impero. Churchill pensò allora di offrire a Stalin un patto sulla Polonia: accettazione da parte di quest'ultima del confine segnato dalla linea Curzon (che avrebbe significato la cessione di oltre due quinti del territorio della Polonia prebellica, ma abitato per la maggioranza da bielorussi ed ucraini, non da polacchi), in cambio del riconoscimento sovietico del governo polacco in esilio. Inoltre, il territorio perduto dalla Polonia sarebbe stato compensato dall'acquisizione di territorio tedesco. Tuttavia varie circostanze fecero fallire il piano di Churchill: l'intransigenza polacca, che non voleva accettare la linea Curzon, il mancato sostegno americano e l'avanzata dei sovietici in Polonia, che dava a Stalin un vantaggio decisivo. Nel 1943 i servizi segreti britannici passarono ai sovietici i piani tedeschi della battaglia di Kursk, decifrati a Bletchley Park; questo diede ai russi un vantaggio fondamentale che consentì di prevenire e sconfiggere il nemico a Kursk, dove la gran parte delle forze corazzate tedesche venne annientata.
Nel corso della Conferenza di Mosca del 1943 venne emanata, tra le altre, la Dichiarazione sulle atrocità, nella quale era espressa la necessità di perseguire quei membri della dirigenza politica e delle forze armate tedesche che si fossero macchiati di crimini di guerra e contro l'umanità. Essa venne redatta personalmente da Churchill, sottoscritta da Roosevelt e Stalin, e, dopo la guerra, funse da base giuridica per la celebrazione del Processo di Norimberga.
Alla fine del conflitto Churchill, ormai settantenne, era indebolito fisicamente e psicologicamente. Rimase comunque suo obiettivo prioritario mantenere l'unità dell'alleanza fino alla sconfitta definitiva della Germania nazista: quando, pochi giorni prima del suicidio di Hitler, Heinrich Himmler offrì la resa incondizionata della Germania ai soli occidentali, Churchill si oppose, sostenendo che la resa doveva comprendere tutti gli alleati, inclusa l'URSS. Quando lo seppe, Stalin telegrafò a Churchill: «Conoscendola, non dubitavo che avrebbe agito in questo modo». La resa incondizionata della Germania nazista giunse infine l'8 maggio 1945.
Dal Patto delle percentuali a Yalta. Turchia e Grecia nel disegno di Churchill
Il 27 gennaio 1943 Churchill decise insieme al capo del SOE colonnello Keble di inviare una missione britannica presso Tito per sostenere la resistenza jugoslava contro l'occupazione nazifascista. Nel maggio dello stesso anno inviò suo figlio Randolph come ufficiale di collegamento con i partigiani jugoslavi, nel frattempo armati dai britannici. La scelta di sostenere le formazioni comuniste, invece dei cetnici monarchici, fu dettata dalla maggiore efficacia che i titini assicuravano nel combattere le truppe di occupazione dell'Asse.
Nel 1944 Churchill e Stalin ebbero dieci giorni di colloqui a Mosca nei quali fu deciso il futuro dell'Europa orientale. In questo contesto si situa il famoso "patto delle percentuali". Churchill raccontò l'episodio nelle sue memorie:
«Avevo scritto su un mezzo foglio di carta le seguenti percentuali: "Romania: Russia 90%. Grecia: Gran Bretagna-USA 90%. Iugoslavia: 50-50. Ungheria: 50-50. Bulgaria: Russia 75%". Stalin prese la matita blu che era solito usare e vergò sulla carta un grosso "visto". D'accordo! Alla fine io dissi: "Non potrebbe apparire alquanto cinico, se sembrasse che abbiamo disposto di queste questioni, così vitali per milioni di persone, con tanta disinvoltura? Bruciamo il foglio". "No" mi rispose Stalin "lo conservi"»
Il "patto" aveva essenzialmente lo scopo di dare mano libera alla Gran Bretagna per liquidare le forze comuniste della resistenza greca che avevano già cominciato a scontrarsi con le formazioni liberali e monarchiche per instaurare un regime comunista nel Paese. Esso si inserì in una logica di equilibrio delle potenze che si era già direttamente dispiegata in alcuni Paesi, soprattutto dell'area mediterranea e balcanica. Churchill inviò immediatamente un contingente britannico dall'Italia e a Natale del 1944 volò ad Atene. Definì i comunisti greci trotskisti, per rimarcare la loro distanza da Stalin, e questi tenne scrupolosamente fede al patto con Churchill negando qualsiasi assistenza ai comunisti greci.
In Jugoslavia nel giugno 1944 Tito aveva acconsentito, su pressione di Stalin, a firmare un accordo con il bano della Croazia Ivan Šubašić, rappresentante del re in esilio Pietro II, per un governo di coalizione tra partiti comunisti e non comunisti della resistenza dopo la guerra. L'accordo aveva come base le percentuali di spartizione delle sfere di influenza per la Iugoslavia proposte da Churchill (50-50). Churchill e Tito si incontrarono a Villa Rivalta a Napoli nel 1944, e ancora a Caserta nell'agosto, dove il comandante partigiano assicurò il premier che non era sua intenzione instaurare un regime comunista in Jugoslavia. Churchill rimase diffidente, così com'era diffidente verso i comunisti italiani, ma continuò la sua politica del doppio binario: da un lato sostegno militare alle formazioni partigiane più efficacemente impegnate contro i nazifascisti, dall'altro riaffermazione dello stretto controllo militare alleato sulle iniziative dei combattenti.
Analoghi sviluppi si ebbero in Italia, con la cosiddetta svolta di Salerno dell'aprile 1944: il leader del PCI Palmiro Togliatti acconsentì ad entrare in un governo di unità nazionale guidato da Pietro Badoglio con tutti gli altri partiti italiani antifascisti, del tutto similmente all'accordo iugoslavo. Togliatti acconsentì alla "svolta" dopo un incontro con Stalin a Mosca nel marzo 1944. Churchill aveva incontrato Togliatti nell'agosto del 1943 e Stalin rassicurò il premier definendo l'italiano "una persona ragionevole, non un estremista, e non è disposto a lanciarsi in un'avventura". Tuttavia, la mossa di Togliatti tradiva l'evidente volontà sovietica di inserirsi nella scena politica italiana per indebolirvi l'assoluta predominanza fino a quel momento goduta dagli anglo-americani: Churchill, pur riluttante e sotto forte pressione di Roosevelt, tolse quindi l'appoggio incondizionato alla monarchia sabauda e al governo Badoglio contenuto nel "discorso della caffettiera" del 22 febbraio 1944, costringendo all'abdicazione Vittorio Emanuele III (12 aprile). Il governo Badoglio fu così riportato sotto l'egida alleata, ponendo i comunisti, che ne facevano parte, in posizione di debolezza.
Dal punto di vista storico, l'accordo delle percentuali fu l'ultimo atto diplomatico di portata globale negoziato dal Regno Unito senza alcun intervento degli Stati Uniti, ed anzi contro la loro volontà. Esso fu largamente favorevole agli interessi britannici, poiché costituì il riconoscimento sovietico del controllo del Regno Unito nel Mediterraneo, in cambio dell'accettazione di una sfera di influenza sovietica in Europa orientale, anche se, rispetto al disegno concepito da Churchill con l'Operazione Olive, si trattò di un compromesso al ribasso. La conferenza di Mosca del 1944 fu sotto certi aspetti una riedizione del Congresso di Berlino del 1878: ancora una volta gli inglesi intervennero per ridimensionare le ambizioni russe nei Balcani. Preso atto del fallimento del piano di penetrare nei Balcani mediante un attacco militare per via dell'opposizione statunitense e turca, Churchill riuscì così a conseguire per via diplomatica tre tradizionali obiettivi strategici della Gran Bretagna: preservare l'equilibrio di potenza, evitando un eccessivo rafforzamento russo in Europa, mantenere il controllo dell'area mediterranea in mano britannica e, al contempo, riconoscendo una controllata espansione russa in Europa, distogliere il gigante eurasiatico in ascesa da velleità espansionistiche in Asia centrale, verso i possedimenti indiani. Ciò al prezzo di suddividere l'Europa in rigide sfere di influenza. Secondo A.J.P. Taylor, la conferenza di Mosca del 1944 rafforzò le relazioni anglo-sovietiche e incoraggiò Churchill nella ricerca di un accordo con Stalin per la sistemazione post-bellica dell'Europa
Nel 1944 in un discorso alla Camera dei Comuni si pronunciò in favore dell'espulsione e trasferimento di popolazione tedesca dai territori slavi (Polonia e Cecoslovacchia) verso la Germania, ritenendola la soluzione più umanitaria ai secolari conflitti etnici dell'area.
Sempre nell'ottica del nuovo ordine mondiale post-bellico, Churchill si fece fautore, anche contro le resistenze del suo gabinetto, di una Turchia forte e indipendente, che potesse svolgere un ruolo di contenimento anti-sovietico. Sulla Turchia la tattica di Churchill si svolse in due fasi differenti: dapprima tentò, smarcandosi dagli Stati Uniti, di coinvolgerla attivamente nel conflitto. Lo scopo era una riedizione dell'approccio già adottato nel conflitto precedente, ma fallito proprio a causa dell'ostilità turca: penetrare nel Continente europeo dai Balcani, in modo da tagliare in due il fronte orientale e prevenire un'eccessiva espansione russa nell'area. A questo scopo Churchill si incontrò nel 1943, di ritorno dalla conferenza di Casablanca, con il presidente turco İsmet İnönü ad Adana, senza tuttavia riuscire a convincerlo ad entrare in guerra a fianco degli Alleati. Alla successiva del dicembre 1943, presente anche Roosevelt, i due leader occidentali premettero invece per mantenere la neutralità della nazione anatolica poiché, di fronte alla sempre più probabile sconfitta tedesca e all'incalzare della Campagna d'Italia, oltre che ai preparativi per l'ormai improrogabile apertura di un nuovo fonte in Francia, i mezzi per sostenere lo sforzo bellico turco scarseggiavano.
Con l'approssimarsi della fine del conflitto, l'assetto deciso da Churchill e Stalin a Mosca divenne la base sulla quale venne discussa la conferenza di Jalta. Come risultato del consesso di Palazzo di Livadija le linee confinarie del nuovo stato polacco vennero confermate secondo i termini già negoziati tra Churchill e Stalin nel 1942. La Polonia era stata significativamente esclusa dall'accordo delle percentuali. Il destino del Paese baltico fu il principale tema di discussione della conferenza, insieme alle zone di spartizione della Germania tra le potenze vincitrici e all'adesione dell'URSS alla costituenda Organizzazione delle Nazioni Unite. Il maggior successo diplomatico di Churchill a Yalta fu quello di aver frustrato la volontà sovietica di azzeramento economico della Germania; su questo punto infatti, egli poteva contare sull'appoggio statunitense, in particolare del Dipartimento di Stato, che si oppose nettamente ai piani di annichilimento paventati dal Tesoro guidato da Henry Morgenthau Jr.. L'obiettivo strategico comune delle potenze anglosassoni rimaneva l'equilibrio di potenza sul continente europeo e la ripresa tedesca era giudicata essenziale per impedire l'affermarsi di un'egemonia russo-sovietica. La formulazione finale sul punto vide escluso qualsiasi riferimento all'ammontare delle riparazioni, una netta vittoria delle posizioni anglo-americane che Stalin fu costretto ad accettare. Il comunicato finale congiunto dei Tre Grandi, emesso l'11 febbraio, conteneva l'impegno sovietico a far svolgere libere elezioni in Polonia con la partecipazione di tutte le forze politiche del Paese. A proposito della Polonia osserva A.J.P. Taylor:
«L'accordo anglo-sovietico sarebbe stato facile se fossero state in questione solo le frontiere, ma c'era un ostacolo più grande. Stalin voleva, dopo la guerra, una Polonia che avesse verso la Russia sovietica un atteggiamento amichevole e, anche qui, Churchill era d'accordo. Ma si era però ben lontani dal concordare sui mezzi: Churchill voleva libere elezioni [...] mentre Stalin aveva fiducia soltanto nei comunisti polacchi, e neanche molta [...] Tanto i desideri di Churchill, tanto quelli di Stalin, riguardo alla Polonia, erano ragionevoli; ma non si conciliavano reciprocamente. Delle libere elezioni in Polonia immediatamente dopo la guerra, anche se fossero state possibili, non avrebbero dato un governo ben disposto verso la Russia sovietica. Era un problema insolubile»
Diversamente che sulla questione tedesca, dunque, senza l'appoggio americano Churchill non riuscì a evitare che in Polonia venisse instaurato un regime filosovietico, ma con il "patto delle percentuali" era riuscito a evitare che questo avvenisse anche in Grecia, con fondamentali conseguenze sull'intero assetto mediterraneo. Le truppe britanniche stavano penetrando in Germania più velocemente dei russi. Avrebbero potuto raggiungere Praga o Berlino prima dei sovietici ma, nonostante le insistenze di Churchill (e anche del generale americano George Patton) Eisenhower informò Stalin che gli eserciti alleati non sarebbero avanzati in quella direzione. Una delle conclusioni della Conferenza di Yalta fu che gli alleati avrebbero restituito tutti i cittadini sovietici che si trovavano nella zona alleata all'Unione Sovietica. Ciò riguardò immediatamente i prigionieri di guerra sovietici liberati dagli Alleati, ma fu esteso anche a tutti i rifugiati dell'Est europeo.
Gli accordi di Yalta non rappresentarono tuttavia, ad avviso della più recente storiografia, una spartizione dell'Europa, bensì il tentativo, soprattutto statunitense, di porre le basi per un nuovo ordine mondiale multilaterale, anche se le priorità strategiche di mantenimento dell'equilibrio di potenza in Europa furono ribadite ed anzi, costituirono il punto concreto di maggior convergenza tra Stati Uniti e Regno Unito, che consentì di imporre la volontà delle due potenze anche all'Urss sulla questione tedesca. Sarà poi il fallimento della visione rooseveltiana a confermare l'esattezza del diverso approccio britannico fondato sulle sfere d'influenza.
L'azione diplomatica di Churchill nei confronti della Russia sovietica è così analizzata da Henry Kissinger:
«La diplomazia in tempo di guerra di Churchill consistette nel muoversi fra due giganti, ciascuno dei quali metteva a repentaglio la posizione britannica, seppur in direzioni opposte[...]Intrappolato tra l'idealismo wilsoniano e l'espansionismo russo, Churchill fece del suo meglio da una posizione di relativa debolezza per attuare l'antica politica del suo Paese[...]Egli comprendeva chiaramente che alla fine della guerra la Gran Bretagna non sarebbe più stata in grado di difendere da sola i propri interessi vitali e men che meno di governare l'equilibrio delle forze. Di conseguenza, nessun aspetto della diplomazia alleata era più importante che creare con gli Stati Uniti legami di amicizia talmente solidi da non costringere la Gran Bretagna ad affrontare da sola il mondo postbellico[...]spesso riusciva a convincere il presidente statunitense che gli interessi strategici di Washington coincidevano con quelli di Londra.
[...]
L'analisi geopolitica di Churchill si è rivelata più accurata di quella di Roosevelt[...]. Se Roosevelt avesse seguito le linee di Churchill avrebbe migliorato la posizione contrattuale degli Stati Uniti.»
Eugenio Di Rienzo commenta:
«Kissinger, nel suo Diplomacy, edito nel 1994, avvicinava la dottrina del roll back, inaugurata da Dulles, alle iniziative di Winston Churchill, fautore di una trattativa realista con Stalin sull’organizzazione politica dell’Europa orientale da svilupparsi «prima o immediatamente dopo» la fine del secondo conflitto mondiale. Secondo Kissinger il disegno del premier britannico d’intraprendere un negoziato, i cui esiti sarebbero stati più favorevoli per le Potenze atlantiche della sistemazione dell’Europa centro-orientale posteriore al 1948, poteva essere fattibile. Se era inattuabile impedire il ristabilimento dei confini sovietici del 1941, una politica angloamericana più dinamica e spregiudicata, che avesse saputo approfittare della congiuntura bellica, minacciando di ridurre il flusso degli aiuti all’URSS in assenza di una precisa contropartita politica, avrebbe potuto persino ottenere «il ritorno di qualche forma d’indipendenza per gli Stati Baltici che in ogni caso sarebbero dovuti restare legati alla Russia da trattati di mutua assistenza e dalla presenza di basi militari sovietiche nel loro territorio».»
Nel medesimo solco, già nel 1950 il generale Mark Clark, in ottica di Guerra fredda, aveva dato ragione alla strategia balcanica di Churchill:
«Compresi più tardi, in Austria, gli enormi vantaggi che noi perdemmo mancando di spingerci nei Balcani… Se vi fossimo arrivati prima dell’Armata Rossa… l’influenza della Russia sovietica sarebbe stata ridotta drasticamente… Fu una decisione che lascerà perplessi gli storici per un lungo tempo»
Rapporti con l'Italia e con il fascismo
I rapporti politici di Churchill con l'Italia cominciarono durante la prima guerra mondiale quando, a Parigi, condusse i colloqui riservati che portarono alla firma del Patto di Londra e al successivo schieramento dell'Italia a fianco dell'Intesa; in una cena del 29 maggio 1915 con la principessa Caetani, già grande amica di sua madre, Churchill mostrò entusiasmo per un coinvolgimento italiano nel conflitto. Nel 1917, in qualità di ministro per gli Approvvigionamenti, si incaricò di fornire materiale bellico all'alleato italiano dopo la crisi di Caporetto.
Giunto a Lisbona il 12 ottobre del 1943 Grandi scrisse a Churchill:
«Caro Primo Ministro
confido che tutto quel che è accaduto in questi anni fatali successivi al nostro incontro non vi abbia fatto scordare le relazioni di amicizia che esistono tra noi: da parte mia conserverò sempre caro il ricordo delle ore che abbiamo passato insieme e dell'inestimabile aiuto che ho costantemente ricevuto da voi durante il mio lungo e felice soggiorno alla Corte di San Giacomo [...]»
Il 26 ottobre Churchill rispose:
«Mio caro Grandi
ricevo col più grande piacere la sua gentilissima lettera dell'11 ottobre. È stato un dolore per me vedere che gli avvenimenti contro i quali lei ed io abbiamo entrambi lottato abbiano rannuvolato un periodo della sua memorabile missione in questo Paese. Sono lieto che il cammino da percorrere sembri adesso più propizio all'amicizia anglo-italiana; stia pur certo che io mi adopero costantemente a questo fine. Credo con ferma fiducia che saremo i vincitori in questa guerra, che siamo decisi a proseguire ad ogni costo fino a che l'Europa non sia liberata dal pericolo tedesco; è mia convinzione che questa volta non ci vorrà tanto tempo come nell'altra. Comunque, lunga o breve che sia, noi persevereremo.
Molto sinceramente suo,
WINSTON S. CHURCHILL»
Nel 1925, durante i negoziati di Parigi sui debiti di guerra, Churchill favorì particolarmente l'Italia. Il ministro delle Finanze Alberto De Stefani telegrafò a Mussolini il 7 gennaio 1925 mostrando al Duce grande apprezzamento per il sostegno di Churchill alle posizioni italiane. Agli inizi del 1927 Churchill giunse in Italia e a Roma ebbe due intensi colloqui con Benito Mussolini e con il nuovo ministro delle Finanze Giuseppe Volpi. Durante gli incontri Churchill accordò lauti sconti ai debiti di guerra italiani verso il Regno Unito e Mussolini gli offrì di scrivere due articoli sul suo giornale, il Popolo d'Italia. Churchill e Mussolini si erano incontrati per la prima volta due anni prima ai lavori della conferenza di Locarno. Nel 1927, durante una conferenza stampa data ai giornalisti disse: «Se fossi stato italiano sono sicuro che mi sarei schierato con tutto il cuore con voi sin dal principio, nella vostra lotta trionfale contro le passioni e gli appetiti bestiali del leninismo", precisando però subito dopo che considerava il fascismo adatto a realtà democraticamente arretrate come l'Italia "in Inghilterra abbiamo un altro modo di fare le cose». Bisogna inoltre precisare che i toni entusiastici furono dovuti alla necessità di compiacere un governo (all'epoca) alleato: già nel 1923, in occasione del bombardamento di Corfù, ordinato da Mussolini Churchill, scrivendo alla moglie Clementine aveva definito il dittatore "un porco". In ogni caso, fino ai primi anni '30 Churchill non esitò ad accreditare Mussolini presso gli ambienti diplomatici e la stessa opinione pubblica euroatlantica.
Una certa stima personale di Churchill per Mussolini infatti non mancava, soprattutto perché, almeno fino all'avvicinamento alla Germania, egli vedeva nel dittatore fascista colui che aveva salvato il Paese dal caos e dal bolscevismo. Questi rapporti hanno anche fatto ipotizzare ad alcuni giornalisti l'esistenza, mai provata, di uno scambio privato di corrispondenza tra i due statisti, proseguito addirittura durante la seconda guerra mondiale. In realtà in seguito alla guerra d'Etiopia e all'avvicinamento alla Germania nazista Churchill divenne sempre più ostile a Mussolini, definendolo "la iena di Hitler".
Molto più stretti furono i suoi rapporti con uno dei gerarchi più vicini al Duce, poi artefice della sua caduta, Dino Grandi. Questi fu ambasciatore italiano nel Regno Unito dal 1932 al 1939 e attivo promotore di una politica di avvicinamento tra i due Paesi, cui Churchill aderì, in contrasto con il suo pupillo Anthony Eden, violentemente ostile all'Italia fascista. Churchill e Grandi divennero amici e quando il primo morì nel 1965 Grandi, sul settimanale Epoca, ricordò con affetto gli anni trascorsi insieme a Londra e soprattutto il modo in cui Churchill si adoperò, dopo il 25 luglio 1943, per portare in salvo Grandi e la sua famiglia in Portogallo e sottrarli alla vendetta di Mussolini.
Nell'agosto del 1944, quando ormai la guerra era vinta, Churchill intraprese un lungo viaggio in Italia in cui incontrò le maggiori personalità politiche del Paese: il presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi, Palmiro Togliatti, il principe Umberto di Savoia e soprattutto papa Pio XII. In particolare con quest'ultimo l'incontro fu cordialissimo: Churchill aveva già conosciuto Pacelli nel lontano 1911, quando aveva rappresentato papa Pio X all'incoronazione di Giorgio V. Tra i due vi era una forte stima reciproca e l'incontro decise molto dell'assetto italiano del dopoguerra. Sia il papa che Churchill erano interessati a che l'Italia non ricadesse nella sfera d'influenza sovietica; Churchill aveva accettato di buon grado la posizione del Regno del Sud come nazione co-belligerante con gli Alleati. Sul piano retorico, Churchill indicò sempre nella Germania, e non nell'Italia, la responsabile della guerra, sostenendo nei suoi discorsi che il popolo italiano era stato ingannato e trascinato in un conflitto inutile dal "tiranno" Mussolini. Tuttavia, poco dopo la visita in Italia, durante un colloquio con il nunzio apostolico a Londra Churchill chiarì che nell'assetto post bellico la collocazione internazionale dell'Italia sarebbe stata subordinata all'egemonia occidentale (cioè anglo-americana): una conseguenza inevitabile della sconfitta. "L'unica cosa che mancherà all'Italia sarà una completa libertà politica". Nell'incontro con Umberto di Savoia Churchill mostrò di favorire la continuità istituzionale della monarchia sabauda, considerando Umberto un potenziale futuro sovrano di un'Italia nuovamente unita dopo la sconfitta della repubblica fascista e l'esilio del padre Vittorio Emanuele. La questione istituzionale pose Churchill in contrasto con i leader dell'antifascismo repubblicano, in particolare il conte Carlo Sforza, che non voleva riconoscere nel giuramento di lealtà al governo Badoglio anche un giuramento di lealtà alla monarchia, la quale godeva invece dell'appoggio di Churchill come forza di stabilità.
Rispetto all'Italia, Churchill mostrò quindi ancora una volta di privilegiare l'approccio già sperimentato dalla politica estera britannica dalla fine del XIX secolo: ricerca dell'amicizia con un junior partner utile al contenimento delle ambizioni tedesche. Non aveva alcuna considerazione della classe politica italiana erede dell'epoca liberale, da lui giudicata debole e inetta, incarnata da personaggi come Sforza, per il quale provò sempre una forte avversione personale. Si fidava per contro solo del re, Vittorio Emanuele, e dei militari come Badoglio, perché la valutazione della classe dirigente italiana rimase per Churchill sempre legata all'esperienza della Prima guerra mondiale e alle impressioni ricavate allora. Avrebbe desiderato un'Italia neutrale, se non alleata nella lotta contro la Germania. Come ha scritto lo storico inglese Paul Ginsborg:
«Il Primo ministro inglese si era sempre rammaricato che il Duce avesse scelto l'alleato sbagliato: "Non capì mai la forza della Gran Bretagna, né le sue capacità di resistenza e la sua forza marittima. Per questo procedette verso la rovina"»
Fine della guerra
«Miei cari amici, questa è la vostra ora. Questa non è la vittoria di un partito o di una classe. È la vittoria della nostra grande Nazione. La vittoria della causa della libertà. Siamo stati i primi, in questa antica isola, a sguainare la spada contro la tirannia. Per un anno intero abbiamo affrontato da soli la più terrificante potenza militare mai vista. E abbiamo tenuto duro. Qualcuno ha mai voluto arrendersi? (dalla folla) NO! Ci siamo mai scoraggiati? (dalla folla) NO! Le luci si sono spente e le bombe sono arrivate. Ma nessun uomo, donna o bambino del Paese ha mai pensato di abbandonare la lotta. Londra ce l'ha fatta. [...] Quando potranno mai venir meno la reputazione e la fede di questa generazione di patrioti? Io dico che nei lunghi anni che verranno non solo il popolo di quest'isola ma del mondo intero, ovunque il canto della libertà risuoni nei cuori degli uomini, guarderà indietro a ciò che abbiamo fatto e dirà "non disperate, non cedete alla tirannia e alla violenza, andate avanti fieri e non sarete mai piegati"»
Nel giugno 1944, le forze alleate invasero la Normandia e ricacciarono le forze naziste in Germania lungo un ampio fronte nel corso dell'anno successivo. Nello stesso anno il governo di Churchill aveva ottenuto l'approvazione dell' (detto legge Butler, dal ministro dell'Istruzione Rab Butler) che per la prima volta istituì un sistema di istruzione pubblico, gratuito e obbligatorio fino a 15 anni.
Dopo essere stata attaccata su tre fronti dagli Alleati, e nonostante momentanee battute d'arresto come la sfortunata operazione Market Garden e gli ultimi disperati contrattacchi tedeschi che culminarono nella battaglia delle Ardenne, la Germania nazista fu alla fine sconfitta. Il 7 maggio 1945, nella sede dello SHAEF a Reims, gli alleati accettarono la resa della Germania. Lo stesso giorno in un notiziario della BBC annunciò che l'8 maggio sarebbe stato il giorno della vittoria in Europa. Quello stesso giorno, Churchill trasmise alla nazione la notizia che la Germania si era arresa e che un ultimo cessate il fuoco su tutti i fronti in Europa sarebbe entrato in vigore alla mezzanotte e un minuto di quel giorno.
Successivamente, Churchill parlò a una folla enorme a Whitehall: «Questa è la vostra vittoria!», disse, ma la folla lo interruppe e urlò di rimando: «No, è la tua», e Churchill poi intonò il canto Land of Hope and Glory insieme al suo popolo in festa. La sera fece un'altra trasmissione alla nazione affermando che il Giappone avrebbe capitolato nei mesi seguenti. I giapponesi si arresero il 15 agosto 1945. Nell'immediatezza della conclusione della guerra, Churchill non smise di preoccuparsi delle mosse sovietiche. Diede ordine al maresciallo Montgomery di raccogliere le armi tedesche e di tenersi pronto ad attaccare i sovietici se questi fossero avanzati oltre le zone di occupazione loro assegnate. Churchill diede poi disposizione al di preparare i piani per un attacco preventivo contro gli ex alleati (Operazione Unthinkable), per ricacciare i sovietici dalla Polonia, dalla Cecoslovacchia e dai vari Paesi dell'Europa orientale occupati dall'Armata Rossa. Tuttavia il comando britannico rigettò l'idea in quanto militarmente inattuabile.
Grazia alla maggiore mano libera nel teatro italiano, riuscì invece a raggiungere Trieste poco dopo l'arrivo delle truppe jugoslave del maresciallo Tito, il che avrà fondamentali ripercussioni per l'assetto dei Balcani nel dopoguerra. Commentando l'accaduto scriverà: "Siamo riusciti ad infilare il piede nella porta".
All'opposizione (1945-1951)
Conferenza di Potsdam, governo transitorio ed elezioni del 1945
Con un'elezione generale incombente (non ce n'era stata una da quasi un decennio), e con i Ministri laburisti che si rifiutavano di continuare la coalizione di guerra, Churchill si dimise da primo ministro il 23 maggio. Più tardi quel giorno, accettò l'invito del re a formare un nuovo governo, conosciuto ufficialmente come il governo nazionale, come la coalizione dominata dai conservatori degli anni '30, ma in pratica costituita in prevalenza da ministri tory. Il governo conteneva conservatori, liberali nazionali e alcuni indipendenti come e , ma non i liberali ufficiali di . Sebbene Churchill continuasse a svolgere le funzioni di primo ministro, compreso lo scambio di messaggi con l'amministrazione statunitense sull'imminente conferenza di Potsdam, non fu ufficialmente rinominato fino al 30 maggio. A Potsdam, durante un pranzo con il presidente Truman e il segretario alla Difesa Henry Stimson, a Churchill venne comunicato in via confidenziale il successo dell'esperimento atomico nel deserto di Alamogordo: I bambini sono nati senza problemi. Churchill credeva ancora alla possibilità di un accordo pragmatico con l'URSS: nel corso di una cena riservata con Stalin, mostrò di favorire una modifica del regime di navigazione dei Dardanelli e del Canale di Kiel in senso più favorevole all'Unione sovietica, probabilmente allo scopo di ottenere in cambio maggiori impegni in Polonia.
Sebbene il giorno fissato per le elezioni fosse il 5 luglio, i risultati finali del voto non furono noti fino al 26 luglio, a causa della necessità di raccogliere i voti dei numerosi militari britannici all'estero. La vittoria laburista fu schiacciante e lo stesso Churchill, nel suo collegio elettorale, anche se incontrastato dai partiti maggiori aveva vinto con una maggioranza molto ridotta contro un candidato indipendente. Quello stesso pomeriggio il suo medico personale, si lamentò con lui della "ingratitudine" del popolo britannico, ma Churchill rispose: «Non la chiamerei così. Hanno passato anni terribili». Avendo perso le elezioni, Churchill si dimise da primo ministro quella sera, passando il testimone a un governo laburista guidato da Clement Attlee, che stato il suo vice durante la guerra. Ciononostante, numerosi sondaggi condotti fino alla fine della guerra continuarono a mostrare un altissimo gradimento personale per Churchill, costantemente attestato intorno al 90 per cento, più di qualsiasi altro Primo ministro britannico prima o dopo di lui.
Sono state date molte spiegazioni per la sconfitta elettorale di Churchill: in primo luogo il desiderio di riforme sociali diffuso tra la popolazione, che egli non fu in grado di intercettare, mettendo al centro del suo programma il mantenimento di una posizione internazionale di potenza che i britannici ormai consideravano un fardello di cui liberarsi. Giocarono inoltre i toni estremamente duri usati da Churchill contro gli avversari, la memoria della Grande depressione e dell'Appeasement degli anni '30, che rendevano impopolari i conservatori, nonché il fatto che durante il conflitto egli avesse delegato quasi interamente ad Attlee, in qualità di vice premier, la gestione del fonte interno.
La mattina del 27 luglio Churchill tenne un'ultima riunione del gabinetto. Tuttavia, contrariamente alle aspettative, non cedette la leadership conservatrice ad Anthony Eden, che divenne il suo vice, ma che non era propenso a sfidare il suo mentore. Sarebbe passato un altro decennio prima che Churchill si ritirasse definitivamente dalla scena.
Leader dell'opposizione
Per sei anni Churchill servì come capo dell'opposizione. Durante questi anni Churchill continuò a influenzare gli affari mondiali. Durante il suo viaggio del 1946 negli Stati Uniti, tenne il celeberrimo discorso di Fulton sulla cortina di ferro e la creazione del blocco orientale. Tale discorso, concordato con Truman, segna convenzionalmente l'avvio della guerra fredda. Parlando il 5 marzo 1946 al Westminster College di Fulton, nel Missouri, tessé da principio un elogio della Russia:
«Siamo lieti che la Russia occupi il posto che le compete tra le grandi nazioni del mondo; salutiamo la sua bandiera sui mari e soprattutto auspichiamo contatti costanti, frequenti e crescenti tra il popolo russo e i nostri popoli su entrambe le sponde dell'Atlantico»
Aggiunse però subito dopo:
«Da Stettino nel Baltico a Trieste nell'Adriatico, una cortina di ferro è scesa in tutto il continente. Dietro quella linea si trovano tutte le capitali degli antichi stati dell'Europa centrale e orientale. Varsavia, Berlino, Praga, Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest e Sofia, tutte queste famose città e le popolazioni intorno a loro si trovano in quella che io devo chiamare la sfera sovietica»
Sempre nel discorso di Fulton aveva espresso l'intenzione di non mettere a disposizione delle Nazioni Unite i segreti atomici del Regno Unito e degli Stati Uniti: «Non credo che tutti noi dormiremmo così tranquillamente se le posizioni fossero invertite e qualche stato comunista o neofascista avesse il monopolio di questi temuti ordigni». Il medico di Churchill, , più tardi ricordò che Churchill suggerì già nel 1946, l'anno prima di trasmettere l'idea in una nota al presidente Truman, che gli Stati Uniti preparassero un attacco atomico preventivo su Mosca mentre l'Unione Sovietica non possedeva ancora armi nucleari. Tuttavia, sempre a Fulton, pronunciò parole concilianti verso l'Unione Sovietica:
«Abbiamo il potere di preservare il nostro futuro. Non credo che la Russia sovietica voglia la guerra. Ciò che essa vuole sono i frutti della guerra e l'espansione illimitata del suo potere e delle sue dottrine»
Per questo invocò l'unità delle democrazie occidentali in funzione deterrente. A questo scopo ricordò gli errori compiuti negli anni '30 davanti ai regimi fascisti:
«Fino al 1933 o anche al 1935 si sarebbe potuta salvare la Germania dal destino terribile che l'ha travolta e a tutti noi sarebbero state risparmiate le miserie che Hitler ha inflitto all'umanità. In tutta la storia non c'è stata una sola guerra più facile da scongiurare con un'azione tempestiva di quella che ha appena devastato regioni tanto vaste della Terra.»
Secondo il politologo François Fejtő: "Il crearsi di una animosità, preludio della guerra fredda, rappresenterà uno dei più brillanti successi della carriera di Churchill"; nello stesso solco l'opinione di Aldo Giannuli, secondo cui: "La convergenza fra russi e americani avrebbe reso l'Inghilterra irrilevante[...]Churchill non aveva mai creduto nel disegno rooseveltiano, che ai suoi occhi peccava di scarso realismo". Tuttavia il discorso non venne accolto favorevolmente da tutta la stampa occidentale. Anche testate conservatrici come il Times affermarono che democrazie e comunismo avessero "molto da imparare l'una dall'altro" e il Wall Street Journal ribadì posizioni isolazioniste: "gli Stati Uniti non vogliono un'alleanza né altro che somigli a un'alleanza con nessun'altra nazione".
Sempre secondo Giannuli, il discorso di Fulton fu il risultato di un deterioramento delle relazioni tra Occidente e Unione sovietica conseguente alla mancata attuazione degli accordi di Yalta, che riportò in primo piano la politica delle sfere di influenza già in parte attuata da Churchill negli ultimi mesi di guerra e pienamente ripresa in accordo con la nuova amministrazione statunitense. Il baricentro dell'azione congiunta anglo-americana tornò il bacino mediterraneo, con il proclama Truman di assistenza a Turchia e Grecia del 12 marzo 1947, che Churchill, nelle sue memorie, indicò come la sanzione della correttezza della sua diplomazia di guerra.
Sul piano della politica interna britannica, Churchill adottò una dura opposizione alla politica riformatrice del governo laburista, in particolare la creazione del Servizio sanitario nazionale, nonostante la stessa fosse stata propugnata nel celebre rapporto Beveridge, commissionato dal suo Governo nel 1942. Una tale posizione era ovvia conseguenza del collocamento all'opposizione del partito conservatore e, conseguentemente, della rappresentanza da questo assunta nei confronti dei ceti medi (cui appartenevano anche i medici, una gran parte dei quali era ostile alla creazione di un sistema sanitario statale, che vedevano come una minaccia alla propria indipendenza). Questa linea politica fu poi ripagata con la vittoria alle elezioni generali del 1951, alla quale tuttavia non conseguì uno smantellamento delle riforme laburiste che, anzi, rimasero largamente in vigore.
Medio Oriente, Israele e subcontinente indiano
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