Heinrich Joseph Johannes Bellegarde (Dresda, 29 agosto 1756 – Vienna, 22 luglio 1845) è stato un generale e politico austriaco.
Heinrich Johann Bellegarde | |
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Nascita | Dresda, 29 agosto 1756 |
Morte | Vienna, 22 luglio 1845 |
Dati militari | |
Paese servito | ![]() ![]() |
Forza armata | ![]() ![]() |
Grado | Feldmaresciallo |
Guerre | Guerra austro-turca Guerre rivoluzionarie francesi Guerre napoleoniche Guerra austro-napoletana |
Campagne | Campagna italiana di Suvorov Campagna d'Italia (1813-1814) |
Battaglie | Battaglia di Tourcoing Battaglia di Tournai Battaglia di Würzburg Assedio d Alessandria Battaglia di Novi Battaglia di Pozzolo Battaglia di Caldiero Battaglia di Eckmühl Battaglia di Aspern-Essling Battaglia del Mincio |
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Nato a Dresda, in Sassonia, discendente di una nobile famiglia di origine savoiarda, si distinse particolarmente nelle guerre rivoluzionarie francesi e nelle guerre napoleoniche, rivestendo frequentemente compiti di comando. La sua esperienza e competenza in materia bellica erano tali che fu nominato feldmaresciallo da Francesco II e divenne poi presidente del Consiglio aulico di Vienna.
Conclusosi il periodo bellico di inizio Ottocento, divenne governatore del Regno Lombardo-Veneto durante il periodo della Restaurazione. La sua figura è uno degli emblemi della dominazione austriaca dell'Italia settentrionale.
Biografia
Gli inizi e l'ingresso alla carriera militare
Era il figlio di Johann Franz von Bellegarde e di Maria Antonia Gräfin von Hartig. Discendente di una delle più antiche famiglie della nobiltà savoiarda, nacque nel 1756 a Dresda, capitale del Regno di Sassonia. Il padre fu generale e ministro della Guerra del Principato Elettorale di Sassonia sotto i due principi Saverio e Carlo ed Heinrich seguì le sue orme, scegliendo la carriera militare.
Per qualche tempo, fece parte dell'esercito sassone, diventando tenente del reggimento di fanteria Bork ed in seguito del reggimento dell'Elettrice. Entrato nel 1772 al servizio degli Asburgo d'Austria con il grado di tenente nel reggimento di dragoni Zweibruck. Nominato capitano nel 1779, promosso a maggiore del reggimento di dragoni di Savoia nel 1781 dall'imperatore Giuseppe ed infine divenuto colonnello e comandante del reggimento di dragoni Berlichingen nel 1785, prese parte e si distinse nella guerra austro-turca, partecipando allo scontro di Beschanie il 9 settembre 1788.
Le guerre rivoluzionarie francesi
Promosso a general maggiore verso la fine del 1792, durante il corso della guerra contro la Francia fu impiegato sul fronte tedesco, dove diede lampante prova delle sue abilità in numerose occasioni. Inizialmente fu assegnato all'armata del principe di Sassonia-Coburgo-Saalfeld, prendendo parte alla campagna delle Fiandre. Per il valore dimostrato sul campo nel 1793 ricevette il titolo di Cavaliere dell'Ordine militare di Maria Teresa. Dopo aver preso parte alle battaglie di , Tourcoing e Tournai, venne notato dall'arciduca Carlo, che lo prese sotto la sua ala e lo fece trasferire tra i suoi ufficiali. Al seguito del fratello dell'imperatore, prese parte a tutte le restanti principali battaglie sul fronte tedesco, come ad esempio , Wurzburg e . Nel 1797 accompagnò l'arciduca nella (campagna d'Italia) contro un giovane Napoleone Bonaparte. Nell'aprile 1797, con , siglò l'armistizio di Judenburg, seguito dall'armistizio di Leoben, i cui accordi furono riconfermati nel successivo trattato di Campoformio.
Nel 1799, gli fu affidato il comando del corpo di armata in Svizzera orientale, precisamente nel canton Grigioni, incaricato di mantenere le comunicazioni fra l'esercito russo di Suvorov e quello austriaco dell'arciduca Carlo. Durante la sua permanenza in Svizzera, ebbe l'occasione di scontrarsi contro le forze di Lecourbe più volte, come a il 25 marzo o a il 4 aprile. Richiamato dal feldmaresciallo russo, raggiunse l'Italia. Venne prima incaricato di bloccare Alessandria e poi di fare lo stesso anche a Tortona. Quando Suvorov partì per intercettare l'Armata di Napoli di Macdonald presso la Trebbia, fu assegnato alla difesa dei blocchi di Alessandria e Tortona. Il 20 giugno 1799 venne sconfitto dal generale Moreau nei pressi di Marengo e costretto a ritirarsi oltre la Bormida. Allontanatosi l'esercito francese, fu incaricato di assediare Alessandria, cosa che fece con successo tra giugno e luglio dello stesso anno. Prese parte alla decisiva vittoria di Novi contro i francesi di Joubert. Un mese dopo la vittoria austro-russa a Novi, Bellegarde venne richiamato a Vienna, dove svolse il ruolo di consigliere per il Ministro degli Esteri Thugut. Dopo l', a Bellegarde venne affidato il comando supremo in Italia, al posto di Melas. Promosso a General der Kavallerie a settembre, debuttò da comandante delle forze imperiali il 25 dicembre 1800, subendo una sconfitta a Pozzolo ad opera di Brune e dovendo ripiegare dietro l'Adige. Il 16 gennaio 1801 fu costretto a concludere l', presto seguito dalla pace di Lunéville, che riconfermò gli accordi di Campoformio.
Nell'opinione della corte, comunque, non dovette risentire della sfortunata campagna, che lo considerava "non un dei più fortunati, ma dei più abili generali d'Austria". Al termine della guerra, Bellegarde fu chiamato a far parte del Consiglio Aulico di guerra, che presiedette ad interim nel 1805 quando l'arciduca Carlo lasciò per assumere il comando in Italia. La sua competenza militare era notevole ma spesso in contrasto con la visione reazionaria del consiglio di guerra austriaco: già nel 1798 aveva suggerito di adottare lo stesso modello in corpi d'armata implementato dai francesi, trovandosi di fronte un netto rifiuto.
Le guerre del 1805 e 1809
Dopo essere rimasto in Italia come governatore generale, in seguito della nuova entrata in guerra contro i francesi, Bellegarde fu posto sotto il comando dell'arciduca Carlo in Italia, dove diresse il centro dello schieramento austriaco nella battaglia di Caldiero. Partecipò poi alla ritirata dell'armata imperiale verso l'Ungheria. Rientrato a Vienna, nel 1806 venne decorato con la croce di Commendatore dell'Ordine militare di Maria Teresa e nominato governatore civile e militare della Galizia. Nel 1808 venne iniziato all'Ordine Imperiale di Leopoldo con il titolo di Cavaliere di Gran Croce.
Approfittando dell'assenza di Napoleone, impegnato nella sottomissione della Spagna, le forze imperiali austriache, comandate dall'arciduca Carlo, attaccarono le posizioni francesi in Baviera, dando inizio ad un nuovo conflitto. Bellegarde fu impiegato su questo fronte, servendo per l'ennesima volta al fianco dell'arciduca. A lui furono assegnati il I ed il II Armeecorps, entrambi operanti sulla riva sinistra del Danubio. All'arrivo di Napoleone in Germania, francesi e austriaci si affrontarono nella battaglia di Eckmuhl, dove gli asburgici ebbero la peggio. Bellegarde si scontrò con Davout nei pressi di Ratisbona, venendo sconfitto e ritirandosi verso la Boemia con il resto dell'armata. Poco tempo dopo, l'esercito austriaco si scontrò nuovamente con i francesi, prima nella vittoria di Aspern-Essling, poi nella sconfitta di Wagram ed infine nella battaglia di Znaim, interrotta dalla notizia dell'armistizio. Bellegarde prese parte a tutte queste battaglie, dimostrando nuovamente abilità di comando, prudenza e un incredibile coraggio.
Dopo la pace di Schönbrunn e sino al 1813, Bellegarde, promosso al grado di feldmaresciallo, fu di nuovo nominato governatore della Galizia. Nel 1810 venne chiamato a presidere il Consiglio aulico per la seconda volta. Nel 1812 Bellegarde fu incluso in una commissione segreta il cui compito era di riorganizzare l'esercito in previsione di un nuovo conflitto con la Francia. Il lavoro svolto dal maresciallo fu così egregio che lo stesso imperatore ne tessé le lodi.
La guerra della Sesta coalizione
Nell'agosto 1813, dopo il fallimento delle negoziazioni con i francesi, l'Austria entrò in guerra al fianco della Coalizione. Si aprì quindi un nuovo fronte lungo il confine tra il Regno d'Italia, le Province Illiriche e lo stesso Impero austriaco. Dopo una fase iniziale in cui il comando delle armate asburgiche fu affidato al generale Hiller, il prolungato momento di stallo che attanagliava il fronte e la scarsità di progressi portarono alla decisione di sostituire Hiller. A prendere il suo posto fu proprio Bellegarde, che, dopo aver organizzato splendidamente la mobilitazione dell'esercito austriaco, si dimise dall'incarico di presidente del Consiglio aulico per poter ottenere il comando sul campo.
Giunto a Vicenza verso la metà di dicembre del 1813, il compito del maresciallo austriaco si dimostrò subito essere molto arduo: i francesi erano riusciti a fortificare bene il fiume Adige, rendendo un attacco molto complicato e dispendioso. A sbloccare la situazione fu l'ingresso in guerra del Regno di Napoli al fianco delle potenze della Coalizione: dopo mesi di trattative, gli austriaci erano riusciti a convincere il maresciallo Murat a voltare le spalle a Napoleone e ad unirsi allo sforzo bellico contro l'esercito di Eugenio in Italia. Vedendo un fronte aprirsi anche a sud, Eugenio fu costretto a ritirarsi su una linea più breve, quella del Mincio, che gli avrebbe permesso di controllare meglio il Po e prevenire un'invasione da parte dei napoletani. Nei primi giorni di febbraio, le forze di Bellegarde superarono l'Adige, entrando nel territorio appena evacuato dai franco-italiani. Il 5 febbraio, dopo essere entrato nella fortezza di Verona il giorno precedente, Bellegarde fece pubblicare un proclama, in cui affermava che l'ora della liberazione dell'Italia dall tirannia francese era giunta e che presto gli italiani sarebbero stati indipendenti.
Sia Eugenio sia Bellegarde intendevano effettuare una mossa contro il nemico, il francese per guadagnare tempo, l'austriaco per costringere i napoleonici a retrocedere ancora. L'8 febbraio, entrambi allo scuro delle intenzioni del nemico, attraversarono il Mincio in due punti diversi del fiume, cercando di sfondare le linee difensive avversarie. Il primo ad accorgersi di quanto stesse accadendo fu Eugenio che, giunto sulla sponda orientale del fiume, si rese conto che la propria ala sinistra era sotto attacco nei pressi di Monzambano. Il vicerè decise di cambiare il proprio obiettivo da Villafranca a Pozzolo e provò a tagliare le vie di ritirata degli austriaci, cercando di intrappolarli mentre i suoi uomini resistevano ai loro incessanti attacchi. Fu l'eroica resistenza del generale , frappostosi tra i francesi e le retrovie delle forze imperiali, a permettere agli uomini di Bellegarde di ritirarsi ed evitare una completa disfatta.
Dopo il fallimento dell'operazione sul Mincio, l'esercito di Bellegarde tentarono qualche sortita per attraversare il fiume nella prima metà di febbraio, ma nulla di più. In parte bloccati dalle malattie e dalle diserzioni, in parte dall'oggettiva difficoltà riscontrata nel fronteggiare le difese franco-italiane, gli uomini di Bellegarde non si impegnarono più in alcun'azione degna di nota per i due mesi successivi, rimanendo ad osservare il fiume. In questo periodo, tuttavia, il compito di Bellegarde assunse una sfumatura molto più diplomatica che militare: gli altri comandanti delle forze coalizzate presenti in Italia, il generale inglese Bentinck ed il maresciallo Murat, dimostrarono di non poter lavorare assieme senza una sua mediazione. Murat voleva costantemente delle rassicurazioni sul suo regno e Bentinck osteggiava ogni mossa del francese, palesando la sua ostilità ad ogni occasione utile. Bellegarde fu più volte costretto ad intervenire, rassicurando il primo e placando le ire e le pretese del secondo.
La Restaurazione
La fine dei napoleonici in Italia
La notizia del trattato di Fontainebleau arrivò in Italia dopo pochi giorni ed Eugenio comprese che proseguire la lotta era inutile. Il 16 aprile, il vicerè ed il maresciallo austriaco giunsero ad un accordo, firmando la Convenzione di Schiarino-Rizzino: si giungeva ad un armistizio, dove entrambe le parti mantenevano il territorio sotto il loro controllo, i francesi si ritiravano e agli italiani veniva garantita la possibilità di venire a dialogo con le potenze vincitrici a Parigi. Nella speranza di poter mantenere in vita il Regno d'Italia, Eugenio ed il Gran Cancelliere Melzi d'Eril convocarono il Senato in una seduta straordinaria, sperando in una generale adesione al progetto da parte dei senatori del regno. Ciò non avvenne: il 17 aprile la proposta venne approvata solo dopo aver concesso sostanziali modifiche ed il 20 aprile una sollevazione popolare portò allo scioglimento del Senato stesso, alla convocazione dei Collegi elettorali, alla formazione della Reggenza provvisoria sotto Carlo Verri ed infine al linciaggio del ministro Giuseppe Prina. Eugenio, venuto a conoscenza dei fatti di Milano il giorno seguente e compreso di non avere più alcuna possibilità di diventare Re d'Italia, il 23 aprile firmò una nuova convenzione a Mantova, dove concedeva agli austriaci il diritto di occupare militarmente ciò che restava del regno. Solo tre giorni dopo, per ordine diretto di Bellegarde, il generale Sommariva entrò a Milano con le truppe austriache, avviando l'effettiva occupazione asburgica della Lombardia. Il 28 fu il turno del generale Neipperg e solo l'8 maggio fu Bellegarde stesso ad entrare nel capoluogo lombardo.
Giunto nella capitale lombarda, inizialmente Bellegarde consentì alla coesistenza tra la Reggenza provvisioria e le entità statali austriache, che lentamente avrebbero preso il posto di quelle italiane, pur garantendosi il diretto controllo dell'apparato di polizia. Le cose, tuttavia, non erano destinate a permanere in questo stato di transizione, come testimoniato dal rifiuto di ricevere i senatori lombardi se non come singoli privati cittadini. Il 25 maggio comparvero i primi avvisi imperiali che stabilirono l'autorità di Bellegarde come commissario plenipotenziario per la Lombardia, ancora non integrata agli apparati imperiali come il Veneto. Avvisaglie di questo cambiamento erano già giunte nei giorni precedenti tramite delle lettere del conte Confalonieri, a colloquio con le potenze alleate a Parigi, dove il destino del Regno d'Italia era sostanzialmente già stato deciso. Il 26 maggio, Bellegarde provvedette a rimuovere le ultime vestigie di ciò che restava del governo dell'ormai decaduto stato napoleonico: sciolse i Collegi elettorali, l'ultima istituzione parlamentare e liberale rimasta, e prese per sé il titolo di presidente della Reggenza, scalzando Carlo Verri da quella posizione. Nel giro di un paio di settimane, un nuovo proclama stabilì ufficialmente il controllo delle provincie lombarde da parte dell'Impero austriaco, la cessazione delle attività della Reggenza provvisoria e la nomina di governatore allo stesso Bellegarde, che avrebbe quindi proseguito nell'amministrazione sia militare che civile della neonata "provincia" imperiale.
Più tardi, quello stesso anno, Bellegarde inviò al Congresso di Vienna (aperto il 1º novembre 1814) due suoi rappresentanti italiani: Giacomo Mellerio e . Essi si fecero portavoce della linea "autonomista" della nobiltà lombarda, ma non ebbero alcuno spazio (avendo tradito Eugenio e consegnato Milano senza pattuire nulla in cambio). In cambio Mellerio si segnalò in tutta Vienna per aver "speso una fortuna" donando stecche di cioccolato a tutte le persone influenti della capitale austriaca. L'unica soddisfazione per i Lombardi fu la definitiva riannessione della Valtellina a fronte della perdita, anch'essa definitiva, del Canton Ticino.
Il 5 aprile 1815 Bellegarde venne nominato Governatore generale del Lombardo-Veneto, in attesa della scelta di un viceré appropriato.
L'opera di Bellegarde, tuttavia, sarebbe stata imperfetta se egli avesse permesso la sopravvivenza dell'ultimo regno indipendente italiano non vassallo dell'Austria: il Regno di Napoli di Gioacchino Murat. L'occasione gli venne offerta il 15 marzo 1815, quando Murat dichiarò guerra all'Austria, iniziando così la guerra austro-napoletana. Il 30 marzo Murat, con circa 27 000 uomini, si portò a Rimini e vi diffuse il famoso Proclama, nel quale si dichiarava promotore e difensore dell'unità e della libertà italiane. Esso seguiva di poco più di un mese la fuga di Napoleone dall'Elba.
Il 5 aprile Bellegarde rispose con un "contro-proclama di Milano" ove affermava che "la Germania era scesa con numerose truppe a sola difesa d'Italia" e dispose lesto dell'armata austriaca in Italia (circa 50 000 uomini), costituendone una parte (circa 25 000 uomini) in corpo di spedizione (affidato al generale viennese di padre comasco Federico Bianchi, sotto l'alto comando di Johann Maria Philipp Frimont). Il 2 maggio Gioacchino Murat fu sconfitto nella battaglia di Tolentino e il 19 maggio s'imbarcò per la Francia. Il 2 giugno rientrò a Napoli il legittimo re Ferdinando IV di Borbone, accolto in trionfo dal popolo. Di lì a pochi giorni, il 9 giugno, si concluse il Congresso di Vienna: Napoleone venne sconfitto a Waterloo (18 giugno), abdicò e partì per l'esilio a Sant'Elena (22 giugno). Il successivo 13 ottobre la partita con Murat si concluse mestamente con la sua fucilazione a Pizzo Calabro, dove era sbarcato il 5 ottobre precedente.
Il governo del Lombardo-Veneto
I suoi primi atti furono adibire a carcere parte del convento di Sant'Antonio, spostare il patibolo da Piazza Vetra al "prato della morte", fuori dai Bastioni tra Porta Ludovica e Porta Vigentina. Adibire il palazzo del defunto Senato ad ospitare uffici dell'amministrazione imperiale, fra cui della Contabilità di Stato (lo ribattezzò, infatti, "Palazzo della Contabilità").
Subito Bellegarde iniziò la resa dei conti con la nobiltà lombarda, che pure lo aveva tanto favorito tradendo Eugenio. In primo luogo, nel luglio 1814, istituì una "Commissione aulica di Organizzazione Centrale" che si occupasse della riorganizzazione dello Stato: si trattava, per il feldmaresciallo, di smantellare i ministeri centrali del cessato Regno d'Italia e d'impedire il ritorno (tanto desiderato dalla nobiltà milanese) all'epoca di Maria Teresa, quando la Lombardia aveva goduto una marcata autonomia dall'Austria e il patriziato di ampi poteri amministrativi.
Bellegarde impose alla Commissione una linea "più moderna", con un'amministrazione fortemente centralizzata, così come era nel decaduto Regno d'Italia. Solo che, questa volta, l'accentramento non fu nelle mani di un governo a Milano (ancorché sotto protettorato francese) bensì dell'amministrazione centrale viennese. Il Regno Lombardo-Veneto (annunciato con proclama il 7 aprile 1815), infatti, si rivelò, fin dall'inizio, poco più che una finzione: le competenze del viceré (il primo sarà l'Arciduca Ranieri che era tedesco e fratello dell'Imperatore) furono meramente simboliche.
Nel frattempo Bellegarde si occupava delle cose serie: alla capitolazione di Eugenio il Regno d'Italia disponeva ancora di un esercito con 45 000 uomini, addestrato, disciplinato e, soprattutto, invitto. Il 13 giugno 1814 dava un segnale, impartendo all'esercito il divieto d'indossare coccarde tricolori. Gli ufficiali francesi venivano licenziati in massa e sostituiti da Austriaci. La repressione (nell'ottobre 1814) di un possibile pronunciamento militare, abbozzato dal generale Lechi e dall'avvocato Lattuada, fornì a Bellegarde l'occasione per liberarsi degli ufficiali italiani più anti-austriaci (curioso notare che, sino a pochi mesi prima, si fossero distinti come anti-francesi). A dicembre i reparti cominciarono a essere trasferiti verso nuove guarnigioni al di là delle Alpi, sparse per lo sterminato Impero austriaco.
L'opera venne compiuta il 30 marzo 1815, quando Bellegarde impose agli ufficiali dell'esercito del Regno d'Italia di giurare fedeltà all'Impero austriaco; ciò che spinse Ugo Foscolo, la notte del 31 marzo a fuggire in Svizzera e, di lì, a Londra.Il compito di Bellegarde poteva dirsi assolto e, per sancirlo, si provvide a organizzare una visita dell'imperatore con moglie al seguito. Entrarono in Milano il 31 dicembre 1815, da Porta Orientale: Carlo Porta e Vincenzo Monti composero saluti benauguranti. Il 2 gennaio 1816 si provvide, quindi, a sopprimere la Reggenza Provvisoria di Governo, sostituita da un "imperiale regio governo", presieduto dal governatore, feldmaresciallo Bellegarde, secondo gli ordinamenti del Regno Lombardo-Veneto, che entravano da quel giorno in vigore. Il giorno prima entravano in vigore i codici civile e penale austriaci.
Alla nobiltà milanese venne lasciato il governo della "Imperial Regia Congregazione Municipale", ridotta dei comuni circostanti che vennero resi di nuovo autonomi. Attraverso di essa al patriziato milanese venivano lasciate le seguenti competenze: manutenzione di edifici comunali, chiese parrocchiali e strade interne, stipendi dei propri dipendenti e polizia locale. Dell'ordine pubblico, infatti, negli anni successivi si sarebbe occupato soprattutto l'esercito imperiale. Tutto il resto (censura, amministrazione generale del censo e delle imposizioni dirette, direzione delle scuole, lavori pubblici, nomine e controllo delle amministrazioni provinciali) era nelle mani del governatore, austro-tedesco e del suo governo. Vienna agiva poi direttamente attraverso un "Magistrato camerale" (monte di Lombardia, zecca, lotto, intendenza di finanza, cassa centrale, fabbricazione di tabacchi ed esplosivi, uffici delle tasse e dei bolli, stamperia reale, ispettorato dei boschi e agenzia dei sali), l'Ufficio della Contabilità, la Direzione generale della Polizia.
Bellegarde venne quindi congedato e sostituito (il 21 aprile 1816) come governatore della Lombardia dal conte Saurau, già governatore di Milano dal 21 aprile 1815 al seguito del feldmaresciallo. Per non lasciare spazio a equivoci, quest'ultimo, non appena arrivato, provvide ad arricchire il portale del palazzo del governo, a rifare la facciata del Palazzo di Giustizia e ad ampliare il recinto delle carceri.
Egli venne raggiunto, il 24 febbraio 1819, dal conte Giulio Strassoldo, in coppia con il nuovo Viceré, il gentile ma superfluo arciduca Ranieri entrato in Milano il 24 maggio successivo.
Il governo di Bellegarde si contraddistinse per la mitezza del controllo poliziesco. È significativo che le cronache richiamino pochi episodi: ad esempio, alcuni giorni dopo la fuga di Napoleone dall'Elba, il 7 e 8 marzo 1815 Bellegarde fece arrestare alcuni milanesi che si erano permessi di brindare all'Imperatore dei Francesi. Anche gli artefici del progettato pronunciamento militare italiano del 1814, vennero condannati al massimo a due anni di fortezza.
Probabilmente Bellegarde dovette essere più prudente dei suoi successori (ad esempio Strassoldo) in quanto la situazione era potenzialmente instabile: la burocrazia (completamente rinnovata dai Francesi) diffidente se non ostile, la centralizzazione privava la nobiltà dell'accesso a prestigiose cariche di governo, i liberali vedevano cadere ogni prospettiva di rinnovamento politico, il debito pubblico era enorme, i disoccupati e gli sbandati numerosi, la carestia incombente (il 1º-2 luglio 1815 erano stati saccheggiati a Milano alcuni forni).
Ma Bellegarde ebbe anche il vantaggio di apparire colui che portava la pace dopo decenni di guerre: nel 1815 veniva inaugurato l'arco di Porta Ticinese di Cagnola con un'iscrizione dedicata alla pace (mentre Eugenio di Beauharnais l'avrebbe dedicata a Napoleone). Lo stesso avvenne con l'Arco della Pace (che i francesi avrebbero battezzato "Arco della Vittoria"). Nel "contro-proclama del 5 aprile 1815" uno egli argomenti forti del Bellegarde era stato che Murat voleva "riaccender per tutto il fuoco devastatore della rivoluzione ... col simulacro della indipendenza italiana".
Nel primo quinquennio della restaurazione molti italiani concessero al governo imperiale perlomeno il beneficio del dubbio. I successori di Bellegarde, al contrario, dovettero affrontare l'opposizione molto più motivata della Carboneria eppoi quella, ideologizzata e spesso pronta al martirio, di Mazzini.
La Milano degli anni di Bellegarde era una città importante e vitale. Proprio a Milano erano attivi praticamente tutti i letterati del canone letterario italiano di quegli anni: tale monopolio meneghino di tutti i talenti nazionali era stato permesso dall'elezione della città a capitale del Regno d'Italia. E, infatti, non si ripeté mai più.
Ovvio che gli Austriaci ne fossero informati: Bellegarde non poteva esimersi dal tentare una qualche politica culturale. Cominciò tradizionalmente, ripristinando, il 1º agosto 1814, la Compagnia di Gesù. Più tardi (1º marzo 1816) impose l'austriaco conte di Gaisruck ad arcivescovo di Milano. Nacque poi il mensile Biblioteca Italiana, affidato a Giuseppe Acerbi, dalla cui crisi sarebbe sorto Il Conciliatore, costretto a chiudere di lì pochi mesi. La redazione e i suoi finanziatori (il meglio della nobiltà lombarda, da Confalonieri a Lambertenghi) si sarebbe presto ritrovata nella Carboneria e, di lì, in esilio o allo Spielberg.
In effetti (come ricorderà più tardi il Foscolo) sin da prima del tramonto di Napoleone, l'Austria aveva preso a largheggiare nella promessa di "liberi istituti", cercando di "attrarre a sé l'opinione pubblica italiana col miraggio di quella stessa libertà che Napoleone aveva finito col soffocare in Italia". Ma né Bellegarde né il Saurau né l'imperatore avevano alcuna intenzione di mantenerle.
Finché gli riuscì, il feldmaresciallo Bellegarde giocò sull'equivoco. Come fu dimostrato dalla pubblicazione, in quei primi tempi, di una raccolta (anonima ma dedicata al Bellegarde) intitolata Serie di Vite e Ritratti de' famosi personaggi degli ultimi tempi, di tono piuttosto liberale (ad esempio si parla molto di Simón Bolívar).
L'evidente fallimento della politica culturale di Bellegarde è tanto più evidente se si considera che, proprio sotto il suo governatorato, Manzoni componeva la poesia Il proclama di Rimini (che sarà poi diffusa solo nell'aprile 1848, assieme a Marzo 1821), dedicandola all'alter-ego di Eugenio di Beauharnais, Gioacchino Murat. Il ripensamento del partito degli "Italici", che si era opposto al tentativo di Eugenio di Beauharnais dovette essere, poi, generale, se è vero che il 20 aprile 1816 veniva diffusa manoscritta la Prineide, operetta "politica", in cui compariva il fantasma del povero ministro Prina: l'autore, Tommaso Grossi, espiò con due giorni di prigione (24-26 gennaio 1817).
Per Bellegarde poco valeva, quindi, che si spegnessero tutti i sostenitori del Beauharnais, come Melzi d'Eril, morto il 16 gennaio 1816 e sepolto nella sua villa di Bellagio. L'ostilità del ceto dirigente lombardo non era matura, ma già appariva spessa, diffusa, e avrebbe impedito il coagularsi di un vero consenso politico attorno agli Asburgo.
Ultimi anni
Terminato il proprio incarico a Milano, Bellegarde si spostò a Parigi, dove si ritirò brevemente a vita privata. In seguito alla prematura morte di Schwarzenberg, venne richiamato alla guida del Consiglio aulico, che presiedette sino al 1825, anno in cui fu licenziato, seppur coperto di onori dal suo monarca. Infatti, la sua vista stava rapidamente peggiorando e non era in grado di assolvere ai propri compiti. Si ritirò definitivamente dalla vita militare, stabilendosi a Vienna, dove morì nel 1844.
Onorificenze
Onorificenze austriache
Onorificenze straniere
Note
Note esplicative
- ^ I vari biografi hanno a lungo dato risposte diverse a riguardo del luogo e della data di nascita di Bellegarde, alcuni ponendola a Chambery nel 1760, altri a Dresda nel 1756. Considerando che von Smola intervistò vari parenti di Bellegarde e dedicò molto tempo a studiarne la vita, si ritiene che la sua posizione, ossia quella della nascita in Germania nel 1756, sia quella corretta.
- ^ Ad esempio, cfr. Weil (4), pp. 388-425. Vi sono altri numerosi esempi per le condotte di Murat e Bentinck, ma le due conferenze di Reggio Emilia e di Verona mostrano molto chiaramente le antipatie, le discordie e le insicurezze che Bellegarde dovette affrontare e risolvere per tenere unito il fronte coalizzato in Italia.
Note bibliografiche
- Hirtenfeld, p. 756.
- ^ (DE) Österreichisches Biographisches Lexikon und biographische Dokumentation, Bellegarde, Heinrich Gf., su ISBN 978-3-7001-3213-4, 2003. URL consultato il 3 marzo 2025.
- ^ (DE) Allgemeine deutsche Biographie: Balde - Bode. 2, Lipsia, Duncker & Humblot, 1875, pp. 305-306. URL consultato il 3 marzo 2025.
- von Helfert, pp. 123-124.
- A Biographical Dictionary of all Austrian Generals during the French Revolutionary and Napoleonic Wars, su www.napoleon-series.org. URL consultato il 5 marzo 2025.
- ^ Hirtenfeld, pp. 757-758.
- ^ (DE) Deutsche Biographie, Bellegarde, Heinrich Graf von - Deutsche Biographie, su www.deutsche-biographie.de. URL consultato il 3 marzo 2025.
- Hirtenfeld, p. 758.
- ^ Botta, p. 341.
- ^ Bodart, pp. 329, 332.
- ^ Botta, p. 365.
- ^ Botta, pp. 371-374.
- ^ Heinrich von Zeißberg, Thugut, Johann Amadeus Franz de Paula, in Allgemeine Deutsche Biographie (ADB), Tomo 38, p. 138-158, Lipsia, 1894.
- ^ von Wurzbach, p. 243.
- ^ Hirtenfeld, p. 759.
- Hirtenfeld, p. 759.
- ^ von Helfert, p. 126.
- ^ von Helfert, pp. 9-11.
- Hirtenfeld, p. 760.
- ^ Botta, pp. 557-558.
- ^ von Helfert, pp. 12-13.
- ^ Botta, pp. 558-559.
- ^ Weil (4), pp. 39-104.
- ^ (FR) , Précis historique des opérations militaires de l'Armée d'Italie en 1813 et 1814, par le Chef de l'État-Major-Général de cette armée (M. de V.), Paris, Chez Barrois l'aîné, Libraire, 1817, pp. 164-165.
- ^ Botta, pp. 562-565.
- ^ von Helfert, pp. 38-89.
- ^ von Helfert, pp. 91, 123.
- ^ von Helfert, pp. 129-132.
- ^ von Helfert, p. 113.
- ^ Rath, p. 187.
- ^ von Helfert, pp. 132-133.
- ^ von Helfert, pp. 146-147.
- ^ von Smola, p. 274.
- ^ von Wurzbach, p. 244.
Bibliografia
- (DE) Gaston Bodart, Militär-historisches Kriegs-Lexikon (1618-1905), Vienna e Lipsia, C. W. Stern, 1908.
- Carlo G. G. Botta, Storia d'Italia dal 1789 al 1814, Parigi, 1824, ISBN 9-788-82810116-1.
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- Joseph Alexander Freiherr von Helfert, La caduta della dominazione francese nell'alta Italia e la congiura militare bresciano-milanese nel 1814, traduzione di L. G. Cusani Confalonieri, Bologna, Zanichelli, 1894.
- (DE) Constantin von Wurzbach, Biographisches Lexikon des Kaiserthums Oesterreich, Vienna, Aus der Kaiserlich-königlichen Hof- und Staatsdruckerei, 1884.
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Voci correlate
- Risorgimento
- Benedetto Bordiga
- Guerra austro-napoletana
Altri progetti
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Collegamenti esterni
- Bellegarde, Heinrich Joseph conte di, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- Bellegarde, Heinrich Joseph conte di, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010.
- Bellegarde, Heinrich Joseph Johannes cónte di-, su sapere.it, De Agostini.
- (DE) Heinrich Johann Bellegarde (XML), in Dizionario biografico austriaco 1815-1950.
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